“Il Dio della Vita era il dio malvagio. Di fatto l’unico Dio. E la Terra, questo mondo, era l’unico regno. E loro, tutti loro, costituivano i suoi servi, in quanto da più di duemila anni rispondevano ininterrottamente ai suoi comandamenti. E la sua ricompensa era stata adeguata alla sua natura e ai suoi comandamenti: era stata l’Ira. La Collera. (…) Il nemico ultimo che Paolo aveva riconosciuto – la morte – alla fine aveva vinto; Paolo si era sacrificato per niente”[1].
E’ un brano di Deus Irae, romanzo di Philip Dick in cui, come spesso accade per i lavori del grande scrittore di science fiction americano, una grande idea viene poi a perdersi nella sovrabbondanza di contenuti. Quel che mi interessa notare qui è l’argomento principale che struttura il romanzo. Nel libro di Dick il mondo è finito. Un’arma nucleare lanciata nell’atmosfera ha annientato con la sua deflagrazione tre quarti del genere umano, contaminando irreparabilmente ciò che è rimasto in vita. I governi, le istituzioni, la società come la conosciamo insomma, si disintegrarono progressivamente, insieme alle comunicazioni e alla tecnologia. Le uniche cose che rimasero furono due chiese, due sette, due agglomerati religiosi: una ridimensionata chiesa cristiana, tornata quasi alla clandestinità delle origini, e la chiesa dell’Ira. Questa adorava il Dio dell’Ira, l’unico vero dio, e la sua incarnazione terrena, l’uomo che pose fine al mondo premendo il tasto che fece esplodere l’ordigno nucleare: Carleton Lufteufel (Luft in tedesco significa aria, Teufel diavolo).
Il mondo è il luogo della Collera e il genere umano è nelle mani iraconde di un Dio che la spazzerà inevitabilmente via, prima o poi. Bisogna solo attenderlo, con timore e tremore.
Le ossessioni apocalittiche di Dick qui riprendono in modo interessante il discorso di Sloterdijk sul cristianesimo, ed ancora di più sul valore aggregativo, costitutivo di gruppi umani, sferopoietico [2] dell’ira (per usare un termine sloterdijkiano).
In questo contributo desidero riprendere, in relazione alle analisi di Sloterdijk in Ira e tempo, il discorso sulla monetarizzazione dello psichico e sulla sua facoltà di essere inserito nel motore degli apparati politici come combustibile ideologico in grado di strutturare una duratura visione progettuale del mondo.
Per fare ciò ritengo sia utile un confronto con le tematiche che uno dei grandi della letteratura (e a suo modo della filosofia) del ‘900, George Bataille, ha affrontato nel suo testo forse più rilevante, per quanto riguarda gli argomenti di cui ci stiamo occupando: La parte maledetta [3].
[1] P. K. Dick, R. Zelazny, Deus Irae, Fanucci, Roma 2001, pag. 43.
[2] La facoltà di creare sfere (sferopoiesi, appunto) è la facoltà antropogena per eccellenza, secondo Sloterdijk. In ambito di agglomerati sociali Sloterdijk parla di macrosfere: gruppi dotati di regole interne, di una costituzione, in grado di creare un effetto di climatizzazione autogeno, sia a livello tecnico che di routine sociale e culturale, e dunque in grado di strutturare proficuamente la vita umana, cercando di sottrarla all’imponderabilità esterna della natura e del caso.
[3] G. Bataille, La parte maledetta. Preceduto da La nozione di dépense. Bollati Boringhieri, Torino 2003.
Tag: Dick, sferopoiesi
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