La mente politica

rice_athens1150In questi giorni in Grecia sono in corso scontri durissimi tra polizia e manifestanti. La protesta è stata scatenata dall’uccisione di un ragazzo di 15 anni, episodio ovviamente terribile e censurabile. Ma perché non accade lo stesso, che so, in Iraq, dove un giorno sì ed un altro pure scoppiano bombe nei mercati e nelle piazze facendo strage di civili innocenti?  La piazza sembra accendersi quando il surplus timotico di gruppi attinge il livello di saturazione ed ha un innesco violento. Questo surplus si deposita nelle sacche sociali quando non può essere investito altrove, quando non trova banche dell’ira disponibili a capitalizzare l’investimento timotico.
Nel caso greco, evidentemente il PASOK ed i partiti di sinistra estrema non hanno saputo o potuto intercettare il desiderio di riconoscimento di strati della gioventù greca che hanno poi trovato uno sbocco alla loro ira nell’episodio dell’omicidio del ragazzo ad Atene.

Guardiamo adesso alla situazione americana, per capire come sia stato possibile che un Paese che negli ultimi ventiquattro anni aveva eletto solo Presidenti repubblicani, salvo gli otto anni dell’enclave-Clinton, abbia scelto un giovane senatore  afroamericano per la Presidenza degli Stati Uniti più difficile da un punto di vista geopolitico e congiunturale dai tempi di Kennedy.

 “Il sistema immunitario, l’ipotalamo, la corteccia frontale ventro-mediale ed il Bill of Rights hanno la stessa radice”. Questa citazione da L’errore di Cartesio di Antonio Damasio è scelta in esergo da George Lakoff ad un volume recente, dal titolo The Political Mind[1].
Siamo di fronte ad un’ennesima versione del riduzionismo? E perché occuparsi di Lakoff, a questo punto? In fondo, lo studioso di Scienze Cognitive e Linguistica dell’Università di California a Berkeley non è l’unico né il primo a ritenere che cambiamenti sociali e cambiamenti cerebrali siano correlati[2].

George Lakoff

George Lakoff

E che questi ultimi, i meccanismi cerebrali, siano molto sensibili – diciamo così – alle emozioni ed alle passioni. La teoria di Lakoff infatti è costruita intorno a quello che una corrente cognitivista ritiene ormai un dato, che cioè il nostro cervello funzioni in stretta connessione col corpo ed in base a stimoli che il sensorio gli media.
Credo non si tratti di una delle solite posizioni riduzioniste che fioriscono ancora in campo analitico anglosassone e che ambirebbero a derivare dalle scienze cosiddette esatte una verità filosofica. Tuttavia, è indubbio che l’impianto concettuale di Lakoff muova da una scoperta che ha carattere biologico. Vale a dire il fatto che il 98% del pensiero è inconscio: noi saremmo inconsapevoli del 98% delle azioni guidate dal nostro cervello.
Anzi, secondo lo studioso americano sarebbe invero sorprendente se la mente conscia e quella inconscia agissero contemporaneamente: invece, è come se il corpo conservasse un sia pur piccolo, ma irrimediabile vantaggio sulla mente. Viceversa, secondo il cognitivista americano, è ancora assai diffusa l’idea che le persone pensino consciamente di stare decidendo qualcosa in un determinato momento, mentre invece lo hanno inconsciamente già fatto prima. Appunto, il 98% del pensiero è inconscio. Il che vuol dire che il nostro pensare sarebbe in grandissima misura riflesso, nel senso di automatico, incontrollato. Riflesso [reflexive] così come si dice del riflesso di un ginocchio quando è colpito dal martelletto. Il pensiero conscio è invece riflessivo-riflettente [reflective], come quando ci si guarda in uno specchio.
Trattandosi del pensiero in generale, ciò è vero per ogni ambito della nostra riflessione. Il che spiega perché il libro di cui ci stiamo occupando si chiama La mente politica. In altre parole,- secondo il professore californiano, ex consulente politico dei Democratici americani ed attuale consulente del Governo spagnolo di centrosinistra guidato da Zapatero – anche le scelte politiche dipendono in gran parte dalle preferenze inconsce dell’individuo, piuttosto che dalle sue scelte consce.
Dal momento che in questo corso ci occupiamo delle passioni nella post-storia, Lakoff ci offre un’angolazione molto utile per capire in che misura ed in che termini le passioni superstiti, sia timotiche che erotiche, si legano ed anzi fanno tutt’uno con le preferenze politiche.

neuronsyx9Negli ultimi trent’anni è stato scoperto molto riguardo al rapporto tra la mente e il cervello, e ciò avrebbe dovuto ormai – a detta di Lakoff – aver confinato tra parentesi le teorie illuministe al riguardo – e per quel che mi riguarda, anche le teorie riduzioniste, biologizzanti. Secondo Lakoff, invece, la maggior parte della gente non ha idea dei passi avanti che si sono fatti e men che meno gli apparati dei partiti politici (specie in campo progressista) che il più delle volte non valutano con la dovuta attenzione le nuove acquisizioni delle scienze cognitive. Questo comporta diverse conseguenze politiche. L’idea che muove The Political Mind è proprio di favorire una conoscenza della mente che metta in evidenza le sue conseguenze politiche, a vantaggio – lo si dice esplicitamente – del campo progressista, da trent’anni in affanno negli Stati Uniti, almeno prima della clamorosa affermazione di Obama.
obama-changeIl compito forse più importante della scienza cognitiva consisterebbe proprio nello svelare quali tipi di idee derivano da dove, quali sono le loro implicazioni, etc. È per questo che la mancata comprensione della scienza cognitiva da parte dei leader politici, dei loro staff, dei commentatori e dei giornalisti politici ha creato in America – a detta di Lakoff – una situazione disastrosa, almeno dal punto di vista Democratico. I commentatori politici, i giornalisti e gli studiosi hanno per anni usato le metafore e i frame “di destra” come se fossero neutrali, e – senza neanche accorgersene – hanno finito per favorire la linea politica avversaria.
La principale battaglia culturale riguarderebbe quindi, direttamente, il cervello; in particolare verterebbe su come il cervello funziona sotto il livello di consapevolezza: “Secondo il campo progressista, la ragione è consapevole, letterale, logica, universale, non emotiva, disincarnata [disembodied] e al servizio dell’interesse proprio. Come le scienze cognitive e neurologiche hanno dimostrato, quest’idea di ragione è falsa. E, a spanne, ciò è rilevante”[3].
Molto, anzi, perché, assumendo la vecchia idea di ragione illuminista, i progressisti avrebbero di fatto consegnato la mente politica della nazione ai conservatori radicali. Al punto che Lakoff considera in pericolo la stessa democrazia americana: “pericolo che ha le sue radici nel denaro, nel potere, nella struttura sociale e nella storia, ma che scaturisce essenzialmente dal cervello dei nostri concittadini”. In altri termini, il divide, il discrimine, è localizzato nei cervelli, nel modo in cui gli Americani comprendono il loro mondo.

Drew Westen

Drew Westen

In modo sorprendentemente simile, un altro autore statunitense, lo psicologo clinico Drew Westen[4], è giunto alle medesime conclusioni nello stesso periodo di Lakoff in un’opera che, tradotta in italiano, si chiama addirittura allo stesso modo: La mente politica, anche se in inglese suona The Political Brain, il cervello politico. Sentite Westen: “La tesi centrale di quest’opera è che l’idea di mente prediletta da filosofi e studiosi di scienze cognitive, da economisti ed esperti di politica dal XVIII secolo in poi – una mente ‘spassionata’ che prende decisioni soppesando gli elementi a disposizione e ragionando fino a raggiungere le conclusioni più valide – non ha alcun rapporto con il funzionamento reale della mente e del cervello. Quando gli strateghi delle campagne politiche si basano su questa concezione della mente, di solito i loro candidati vengono sconfitti”[5]. Dai tempi di Franklin Delano Roosevelt, Bill Clinton è stato l’unico democratico rieletto alla Presidenza, mentre soltanto un repubblicano ha fallito la battaglia per la rielezione. Perché? Perché mentre i conservatori sanno che la politica è soprattutto questione di racconti, i democratici parlano alla parte sbagliata del cervello, all’emisfero della razionalità, mentre i leader non si eleggono in base alla valutazione razionale dei programmi, ma soprattutto in base a scelte di carattere emotivo. Prima delle scelte razionali, bisogna conquistare gli stati d’animo. Pesando le parole, ed i gesti. Per esempio: in America, la maggioranza della popolazione non prova simpatia istintiva per  i primi della classe. Tuttavia, la maggior parte dei Presidenti si laurea in università prestigiose, spesso con buoni voti. Ma non lo fa sapere. Mentre lo spot elettorale principale di John Kerry, alle elezioni del 2004, faceva riferimento alla laurea che aveva conseguito a Yale, Clinton – uno degli intellettuali più preparati entrati alla Casa Bianca – non fece mai menzione in alcuno spot di quale facoltà avesse frequentato – che per inciso, era proprio Yale, e aveva anche alle spalle due anni ad Oxford con una borsa Rhodes. Sentite Bush, in occasione delle lauree sempre a Yale nel 2001: “Agli studenti con la media appena sopra della sufficienza dico: anche voi potete diventare un giorno Presidente degli Stati Uniti [risate e applausi]. Una laurea conseguita a Yale vale molto, come ricordo spesso a Dick [Cheney, risate]. Che ha studiato qui, ma se ne è andato un po’ in anticipo. Così adesso lo sappiamo: se ti laurei a Yale diventi presidente, se lasci prima della laurea diventi vicepresidente [grosse risate]”[6]. Sì, perché anche George W. Bush si è laureato a Yale, anche se non tiene affatto a farlo sapere ai suoi elettori. “I dati che la scienza della politica ci fornisce sono limpidissimi: la gente vota per il candidato che suscita i sentimenti giusti, non per il candidato che presenta gli argomenti migliori[7].


[1] George Lakoff, The Political Mind. Why You Can’t Understand 21st-Century American Politics with an 18th-Century Brain, Viking by the Penguin Group, New York 2008.
[2] Un’ampia intervista a Lakoff è online in italiano, in Humana.Mente 4, Febbraio 2008. Al libro di cui ci occupiamo è dedicata soltanto l’ultima parte dell’intervista.
[3] George Lakoff, The Political Mind [TPM], cit., pag. 2.
[4] Westen, laureato ad Harvard, insegna psicologia clinica allo Emory College di Atlanta, Georgia. Con una sua azienda presta consulenze a politici candidati ad elezioni. Vedi http://www.westenstrategies.com/.
[5] Drew Westen (2007), La mente politica, trad. it., Il Saggiatore, Milano 2008, pag. 9.
[6] Cit. in D. Westen, op. cit., pag. 22.
[7] Ivi, pag. 118.

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Una Risposta to “La mente politica”

  1. Kataweb.it - Blog - TUSITALA » Blog Archive » La mente politica Says:

    […] https://passionipoststoria.com/2008/12/12/260/ […]

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