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Vecchio e nuovo illuminismo

12 dicembre 2008

La ragione di stampo illuminista – quella a torto privilegiata dai democratici e dai progressisti, secondo Lakoff e Westen – avrebbe le seguenti caratteristiche. Sarebbe:

  • – consapevole – sappiamo quel che pensiamo;
  • – universale – la stessa per tutti;
  • – disincarnata – libera dal corpo ed indipendente da percezione ed azione;
  • – logica – consistente con le proprietà della logica classica;
  • – non emotiva – libera dalle passioni;
  • – assiologicamente neutrale – la stessa ragione si applica indipendentemente dai valori;
  • – basata sull’interesse – al servizio dei proponimenti e degli interessi individuali;
  • – letterale – in grado di rendere precisamente un mondo obiettivo, una logica della mente in grado di rendere la logica del mondo.
George Lakoff

George Lakoff

Ma davvero funzioniamo così, si chiede Lakoff? Prendiamo il caso di chi vota contro i propri interessi, una vasta fetta dell’elettorato, in America come in Europa, in particolare in Italia – stando alle analisi sociologiche del dopo-voto che hanno spesso messo in mostra che una percentuale significativa del voto operaio è andata a partiti di destra, espressione tradizionale del ceto confindustriale: bene, secondo Lakoff costoro consentono che quelli che oggettivamente possono essere considerati errori [bias], pregiudizi ed emozioni guidino le loro decisioni.
E ciò si deve al fatto che – come Damasio ha dimostrato (ma prima di lui Spinoza, direi) – la ragione invece richiama l’emozione, ne è il correlato. Come Bodei va dicendo da vent’anni, dovremmo avere a cuore una ragione appassionata e avere confidenza con passioni ragionevoli – non domesticate, appannate, depotenziate. Sullo sfondo, appare ancora irrinunciabile e gonfio di sviluppi il pensiero di Freud, soprattutto quello della seconda topica. E assai feconda di spunti filosofici decisivi la riflessione di Ignacio Matte-Blanco e della sua bi-logica, secondo la quale anche l’inconscio ha una sua logica, diversa ovviamente da quella della mente razionale.
Prima di procedere nell’esposizione delle posizioni di Lakoff, un inciso. Si affaccia qui subito infatti un problema classico: quello del determinismo. Se ammettiamo che le nostre funzioni cerebrali sono tutt’uno con quelle mentali e se il nostro pensare non è disincarnato, come vorrebbe la logica pura di stampo illuminista, allora non ci sarebbe mai possibile cambiare le nostre visioni del mondo morali e politiche a piacimento. Nel senso che modelli di pensiero politico e morale sarebbero determinati dal come funzioniamo coi nostri corpi sia nel mondo fisico che in quello sociale. Cambiare mentalità comporterebbe anche cambiare i nostri cervelli, quasi direi anatomicamente parlando. Un cambiamento di mentalità corrisponderebbe, sinapsi più sinapsi meno, ad un cambiamento neurologico-psichico: questa, grosso modo, la volgarizzazione possibile, ma direi quasi necessaria, che esita dall’impostazione di cui ci stiamo occupando.
lakoff-nytIn effetti, la politica – per quanto possa inquietare questa affermazione – ha molto a che fare col cambiare i cervelli, e con essi la mentalità della gente. Ricorderete i discorsi sessantottini sulla manipolazione delle coscienze? Beh, è peggio: qui – adottando l’ottica di Lakoff – si tratta di mettere mano agli organi che determinano le funzioni, prima che a queste ultime. Consapevoli che in campo avverso fanno lo stesso da tempo e con ottimi risultati – come già aveva compreso Pier Paolo Pasolini, quando denunciava il genocidio culturale dell’Italia perbene – in senso forte.
Se invece ci acquietiamo in una visione settecentesca della mente, allora crederemo che sarà sufficiente mostrare alla gente fatti e cifre affinché prendano la “giusta” decisione. Saremo certi che tutto ciò che è necessario è far vedere in che consistono i loro interessi: la gente allora agirà in modo da massimizzarli da un punto di vista politico. Saremo certi che chiedendo alle persone quali sono i loro interessi, esse ne saranno consapevoli, li enumereranno e voteranno in conformità. Non ci servirà appellarci alle emozioni. Inutile in fondo anche parlare di valori: fatti e cifre saranno sufficienti e parleranno da soli. Inutile anche cercare di cambiare la testa della gente: la loro ragione sarà sufficiente. Chi non ci vota ancora, lo fa per ignoranza, o per corruzione o malafede.
Vi sembra che il ragionamento fili? Eppure, non pochi partiti e movimenti progressisti ragionano ancora proprio in questi termini. E infatti vincono gli altri che non credono – dice Lakoff – in questo meccanismo deterministico.
Queste riflessioni si rispecchiano anche in una serie di domande tipiche che il campo progressista si sente rivolgere da tempo, anche dal proprio interno: perché i Democratici sono così “saputi” ? Cosa li divide al loro interno?
tafazziPerché il “tafazzismo” è di sinistra?  Perché i conservatori sono così più bravi nel diffondere le loro idee? Perché i Democratici statunitensi non sono stati capaci di fare di più, una volta preso il controllo del Congresso, nel 2006 e hanno lasciato che George W. Bush governasse ancora due anni? E più in generale, perché esistono conservatori poveri che votano a destra contro il proprio interesse? Perché non ha mai funzionato un populismo democratico? Perché i candidati democratici presentano una lista di programmi dettagliati, mentre i Repubblicani no?
La risposta è semplice: perché i progressisti tendono a non far propria una mentalità profonda che tenga conto, e si giovi, di una mente in larga misura inconscia, incarnata, empatica, metaforica e solo parzialmente universale. Come ha dimostrato Charles Fillmore, ogni parola è definita relativamente almeno ad un contesto [frame] concettuale. Quel che la semantica cognitivista avrebbe scoperto, e che Lakoff propugna, è che noi pensiamo in termini di sistemi di concetti, sistemi che si adattano, s’incastrano e che compongono senso. Esisterebbe innanzitutto un sistema di metafore primarie, acquisite durante l’infanzia; questo processo avviene grazie al modo in cui l’apprendimento neurale funziona. Per esempio, se tutti i giorni uno versa dell’acqua in un bicchiere e vede il livello salire, ogni singolo giorno il cervello registrerà che quantità e verticalità coesistono: entrambe sono registrate contemporaneamente dal cervello; i due processi sono entrambi attivati allo stesso tempo, ma in zone diverse del cervello. A causa della propagazione dell’attivazione delle loro connessioni a varie parti del cervello e a molti pathway – e attraverso questi – l’attivazione si propaga attraverso le vie metaboliche fino a quando vengono a congiungersi da entrambe le estremità formando circuiti neurali; questi circuiti che si formano sono le metafore. E le persone ne imparano tantissime, semplicemente vivendo nel mondo, semplicemente osservando quali tipi di cose accadono contemporaneamente. Per cui si divertono e si stupiscono quando vedono quel trucco per cui, versando del liquido in un bicchiere, il livello del liquido stesso non sale. Perché, appunto, si aspettano il contrario.
Un Nuovo Illuminismo, a detta di Lakoff, non significherebbe fare a meno della ragione, ma piuttosto capire che nella realtà di tutti i giorni facciamo uso di una ragione reale, una ragione incarnata, configurata dai nostri corpi e dai nostri cervelli e dalle interazioni con la realtà; una ragione che incorpora l’emozione, strutturata in contesti e metafore, immagini e simboli, con il pensiero conscio configurato dal vasto ed invisibile ambito dei circuiti neuronali inaccessibili alla consapevolezza. Cambiare opinione, dunque, implicherebbe un reframing, un risettaggio dei nostri schemi inetrpretativi della realtà. doonesburyreframing
Un Nuovo Illuminismo non farebbe a meno nemmeno delle narrazioni culturali, rimpiazzandole con la fredda, dura ragione. Le narrazioni culturali fanno parte dell’arredamento permanente dei nostri cervelli: sono metafore complesse dell’esistenza, strutture che ci aiutano ad orizzontarci ed a vivere meno difficilmente. Sono i miti, le favole, i proverbi, i luoghi comuni di cui è intessuta la nostra esperienza quotidiana. Tutto ciò non sarebbe destinato a sparire,  ma almeno saremmo consapevoli e riconosceremo che tutti ci viviamo le nostre narrazioni. Sarebbe quindi normale interrogarsi su di esse, ponendo la questione di quanto influenzino la nostra vita e se possiamo metterle o meno da parte.

La mente politica

12 dicembre 2008

rice_athens1150In questi giorni in Grecia sono in corso scontri durissimi tra polizia e manifestanti. La protesta è stata scatenata dall’uccisione di un ragazzo di 15 anni, episodio ovviamente terribile e censurabile. Ma perché non accade lo stesso, che so, in Iraq, dove un giorno sì ed un altro pure scoppiano bombe nei mercati e nelle piazze facendo strage di civili innocenti?  La piazza sembra accendersi quando il surplus timotico di gruppi attinge il livello di saturazione ed ha un innesco violento. Questo surplus si deposita nelle sacche sociali quando non può essere investito altrove, quando non trova banche dell’ira disponibili a capitalizzare l’investimento timotico.
Nel caso greco, evidentemente il PASOK ed i partiti di sinistra estrema non hanno saputo o potuto intercettare il desiderio di riconoscimento di strati della gioventù greca che hanno poi trovato uno sbocco alla loro ira nell’episodio dell’omicidio del ragazzo ad Atene.

Guardiamo adesso alla situazione americana, per capire come sia stato possibile che un Paese che negli ultimi ventiquattro anni aveva eletto solo Presidenti repubblicani, salvo gli otto anni dell’enclave-Clinton, abbia scelto un giovane senatore  afroamericano per la Presidenza degli Stati Uniti più difficile da un punto di vista geopolitico e congiunturale dai tempi di Kennedy.

 “Il sistema immunitario, l’ipotalamo, la corteccia frontale ventro-mediale ed il Bill of Rights hanno la stessa radice”. Questa citazione da L’errore di Cartesio di Antonio Damasio è scelta in esergo da George Lakoff ad un volume recente, dal titolo The Political Mind[1].
Siamo di fronte ad un’ennesima versione del riduzionismo? E perché occuparsi di Lakoff, a questo punto? In fondo, lo studioso di Scienze Cognitive e Linguistica dell’Università di California a Berkeley non è l’unico né il primo a ritenere che cambiamenti sociali e cambiamenti cerebrali siano correlati[2].

George Lakoff

George Lakoff

E che questi ultimi, i meccanismi cerebrali, siano molto sensibili – diciamo così – alle emozioni ed alle passioni. La teoria di Lakoff infatti è costruita intorno a quello che una corrente cognitivista ritiene ormai un dato, che cioè il nostro cervello funzioni in stretta connessione col corpo ed in base a stimoli che il sensorio gli media.
Credo non si tratti di una delle solite posizioni riduzioniste che fioriscono ancora in campo analitico anglosassone e che ambirebbero a derivare dalle scienze cosiddette esatte una verità filosofica. Tuttavia, è indubbio che l’impianto concettuale di Lakoff muova da una scoperta che ha carattere biologico. Vale a dire il fatto che il 98% del pensiero è inconscio: noi saremmo inconsapevoli del 98% delle azioni guidate dal nostro cervello.
Anzi, secondo lo studioso americano sarebbe invero sorprendente se la mente conscia e quella inconscia agissero contemporaneamente: invece, è come se il corpo conservasse un sia pur piccolo, ma irrimediabile vantaggio sulla mente. Viceversa, secondo il cognitivista americano, è ancora assai diffusa l’idea che le persone pensino consciamente di stare decidendo qualcosa in un determinato momento, mentre invece lo hanno inconsciamente già fatto prima. Appunto, il 98% del pensiero è inconscio. Il che vuol dire che il nostro pensare sarebbe in grandissima misura riflesso, nel senso di automatico, incontrollato. Riflesso [reflexive] così come si dice del riflesso di un ginocchio quando è colpito dal martelletto. Il pensiero conscio è invece riflessivo-riflettente [reflective], come quando ci si guarda in uno specchio.
Trattandosi del pensiero in generale, ciò è vero per ogni ambito della nostra riflessione. Il che spiega perché il libro di cui ci stiamo occupando si chiama La mente politica. In altre parole,- secondo il professore californiano, ex consulente politico dei Democratici americani ed attuale consulente del Governo spagnolo di centrosinistra guidato da Zapatero – anche le scelte politiche dipendono in gran parte dalle preferenze inconsce dell’individuo, piuttosto che dalle sue scelte consce.
Dal momento che in questo corso ci occupiamo delle passioni nella post-storia, Lakoff ci offre un’angolazione molto utile per capire in che misura ed in che termini le passioni superstiti, sia timotiche che erotiche, si legano ed anzi fanno tutt’uno con le preferenze politiche.

neuronsyx9Negli ultimi trent’anni è stato scoperto molto riguardo al rapporto tra la mente e il cervello, e ciò avrebbe dovuto ormai – a detta di Lakoff – aver confinato tra parentesi le teorie illuministe al riguardo – e per quel che mi riguarda, anche le teorie riduzioniste, biologizzanti. Secondo Lakoff, invece, la maggior parte della gente non ha idea dei passi avanti che si sono fatti e men che meno gli apparati dei partiti politici (specie in campo progressista) che il più delle volte non valutano con la dovuta attenzione le nuove acquisizioni delle scienze cognitive. Questo comporta diverse conseguenze politiche. L’idea che muove The Political Mind è proprio di favorire una conoscenza della mente che metta in evidenza le sue conseguenze politiche, a vantaggio – lo si dice esplicitamente – del campo progressista, da trent’anni in affanno negli Stati Uniti, almeno prima della clamorosa affermazione di Obama.
obama-changeIl compito forse più importante della scienza cognitiva consisterebbe proprio nello svelare quali tipi di idee derivano da dove, quali sono le loro implicazioni, etc. È per questo che la mancata comprensione della scienza cognitiva da parte dei leader politici, dei loro staff, dei commentatori e dei giornalisti politici ha creato in America – a detta di Lakoff – una situazione disastrosa, almeno dal punto di vista Democratico. I commentatori politici, i giornalisti e gli studiosi hanno per anni usato le metafore e i frame “di destra” come se fossero neutrali, e – senza neanche accorgersene – hanno finito per favorire la linea politica avversaria.
La principale battaglia culturale riguarderebbe quindi, direttamente, il cervello; in particolare verterebbe su come il cervello funziona sotto il livello di consapevolezza: “Secondo il campo progressista, la ragione è consapevole, letterale, logica, universale, non emotiva, disincarnata [disembodied] e al servizio dell’interesse proprio. Come le scienze cognitive e neurologiche hanno dimostrato, quest’idea di ragione è falsa. E, a spanne, ciò è rilevante”[3].
Molto, anzi, perché, assumendo la vecchia idea di ragione illuminista, i progressisti avrebbero di fatto consegnato la mente politica della nazione ai conservatori radicali. Al punto che Lakoff considera in pericolo la stessa democrazia americana: “pericolo che ha le sue radici nel denaro, nel potere, nella struttura sociale e nella storia, ma che scaturisce essenzialmente dal cervello dei nostri concittadini”. In altri termini, il divide, il discrimine, è localizzato nei cervelli, nel modo in cui gli Americani comprendono il loro mondo.

Drew Westen

Drew Westen

In modo sorprendentemente simile, un altro autore statunitense, lo psicologo clinico Drew Westen[4], è giunto alle medesime conclusioni nello stesso periodo di Lakoff in un’opera che, tradotta in italiano, si chiama addirittura allo stesso modo: La mente politica, anche se in inglese suona The Political Brain, il cervello politico. Sentite Westen: “La tesi centrale di quest’opera è che l’idea di mente prediletta da filosofi e studiosi di scienze cognitive, da economisti ed esperti di politica dal XVIII secolo in poi – una mente ‘spassionata’ che prende decisioni soppesando gli elementi a disposizione e ragionando fino a raggiungere le conclusioni più valide – non ha alcun rapporto con il funzionamento reale della mente e del cervello. Quando gli strateghi delle campagne politiche si basano su questa concezione della mente, di solito i loro candidati vengono sconfitti”[5]. Dai tempi di Franklin Delano Roosevelt, Bill Clinton è stato l’unico democratico rieletto alla Presidenza, mentre soltanto un repubblicano ha fallito la battaglia per la rielezione. Perché? Perché mentre i conservatori sanno che la politica è soprattutto questione di racconti, i democratici parlano alla parte sbagliata del cervello, all’emisfero della razionalità, mentre i leader non si eleggono in base alla valutazione razionale dei programmi, ma soprattutto in base a scelte di carattere emotivo. Prima delle scelte razionali, bisogna conquistare gli stati d’animo. Pesando le parole, ed i gesti. Per esempio: in America, la maggioranza della popolazione non prova simpatia istintiva per  i primi della classe. Tuttavia, la maggior parte dei Presidenti si laurea in università prestigiose, spesso con buoni voti. Ma non lo fa sapere. Mentre lo spot elettorale principale di John Kerry, alle elezioni del 2004, faceva riferimento alla laurea che aveva conseguito a Yale, Clinton – uno degli intellettuali più preparati entrati alla Casa Bianca – non fece mai menzione in alcuno spot di quale facoltà avesse frequentato – che per inciso, era proprio Yale, e aveva anche alle spalle due anni ad Oxford con una borsa Rhodes. Sentite Bush, in occasione delle lauree sempre a Yale nel 2001: “Agli studenti con la media appena sopra della sufficienza dico: anche voi potete diventare un giorno Presidente degli Stati Uniti [risate e applausi]. Una laurea conseguita a Yale vale molto, come ricordo spesso a Dick [Cheney, risate]. Che ha studiato qui, ma se ne è andato un po’ in anticipo. Così adesso lo sappiamo: se ti laurei a Yale diventi presidente, se lasci prima della laurea diventi vicepresidente [grosse risate]”[6]. Sì, perché anche George W. Bush si è laureato a Yale, anche se non tiene affatto a farlo sapere ai suoi elettori. “I dati che la scienza della politica ci fornisce sono limpidissimi: la gente vota per il candidato che suscita i sentimenti giusti, non per il candidato che presenta gli argomenti migliori[7].


[1] George Lakoff, The Political Mind. Why You Can’t Understand 21st-Century American Politics with an 18th-Century Brain, Viking by the Penguin Group, New York 2008.
[2] Un’ampia intervista a Lakoff è online in italiano, in Humana.Mente 4, Febbraio 2008. Al libro di cui ci occupiamo è dedicata soltanto l’ultima parte dell’intervista.
[3] George Lakoff, The Political Mind [TPM], cit., pag. 2.
[4] Westen, laureato ad Harvard, insegna psicologia clinica allo Emory College di Atlanta, Georgia. Con una sua azienda presta consulenze a politici candidati ad elezioni. Vedi http://www.westenstrategies.com/.
[5] Drew Westen (2007), La mente politica, trad. it., Il Saggiatore, Milano 2008, pag. 9.
[6] Cit. in D. Westen, op. cit., pag. 22.
[7] Ivi, pag. 118.