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Bataille prima di Sloterdijk

25 novembre 2008

Il saggio di Bataille La nozione di dépense presenta già in nuce gli argomenti che l’autore svilupperà nel testo La parte maledetta. Il nucleo dell’argomentazione bataillana è perfettamente espresso già nel titolo del paragrafo introduttivo del saggio: Insufficienza del principio classico dell’utilità.
L’utilità a cui fa riferimento Bataille è quella economica (tutto il saggio ha come argomento l’economia). La tesi è la seguente: il principio classico di utilità, ossia quello di produttività, non basta a spiegare il funzionamento dell’economia reale, se non attraverso una fictio che non tiene conto di una parte importantissima dell’economia reale: quella che appunto è la parte maledetta: “L’attività umana non è interamente riducibile a processi di produzione e di conservazione, e il consumo dev’essere diviso in due parti distinte. La prima, riducibile, è rappresentata dall’uso del minimo necessario, agli individui di una data società, per  la conservazione della vita e per la continuazione dell’attività produttiva: si tratta dunque della condizione fondamentale di quest’ultima. La seconda parte è rappresentata dalle spese cosiddette improduttive: il lusso, i lutti, le guerre, i culti, le costruzioni di monumenti suntuari, i giochi, gli spettacoli, le arti, l’attività sessuale perversa (cioè deviata dalla finalità genitale) rappresentano altrettante attività che, almeno nelle condizioni primitive, hanno il loro fine in se stesse.”[1]  

George Bataille

George Bataille

Vi è dunque una parte, anzi, La parte, dell’economia e della produzione, che viene, sprecata, distrutta, destinata all’In-produzione, all’In-produttivo. La parte maledetta. La parte del dispendio. Il limite dell’utile (titolo di un altro testo, o meglio degli appunti preparatori a La parte maledetta poi pubblicati separatamente, di Bataille su questo argomento). La dépense.
Bataille riconduce la nascita stessa dell’economia alla dépense, seguendo le analisi di M. Mauss sul dono: non sarebbe stato il baratto la forma arcaica dello scambio, ma il potlàc: il dono spropositato di ricchezze fatto al fine di obbligare, umiliare, sottomettere il donatario al prestigio di colui che dona. O addirittura la distruzione spettacolare delle suddette ricchezze, effettuata per gli stessi fini.
Ad un potlàc doveva necessariamente far seguito un altro potlàc, di grandezza uguale o maggiore.
Nasce così, coestensivamente all’economia, il prestito ad usura, che, ci dice, Bataille, assomiglia molto al sistema di prestiti bancari proprio delle società attuali: nelle società del potlàc assommando tutti gli averi effettivi di coloro che si facevano prestare beni al fine di rispondere al dono obbligante non si sarebbe mai avuto il reale importo dei beni imprestati, ma sempre di meno. Esattamente come accade nel moderno sistema bancario: assommando i beni dei beneficiari dei prestiti non si avrà mai una somma pari al prestito erogato.
Operare una considerazione retrospettiva sulle cause della moderna crisi economica alla luce di queste, ma soprattutto delle successive considerazioni, è un compito interessante, che lascio a ciascuno.
Dunque alla base dell’economia cosa c’è secondo Bataille? Un problema, una questione di riconoscimento, di orgoglio: di thymós potremmo dire, in una parola.
È per essere riconosciuti [2], per affermare il proprio rango sociale, per umiliare l’avversario, per ricoprirsi di gloria che si distruggono, con spettacolari ecatombi di bestiame e schiavi, con distruzioni apparentemente assurde di beni accumulati in lunghi periodi di tempo, i frutti dell’accumulazione economica, la parte più rilevante di essi. 
È la proprietà positiva della perdita, come la chiama Bataille: il fatto che la parte delle passioni, la parte più importante dell’animo umano, non sia, non possa essere, soddisfatta dal mero consumo e accumulazione dei beni prodotti. Entrano in gioco altri valori, valori propri del thymós, della parte dell’animo che non risponde alle leggi dell’economia di produzione. Non a caso Bataille riporta come sia la gloria, disposizione emotiva timotica per eccellenza, un validissimo esempio di sentimento collegato alla parte dell’animo che sottostà alle leggi della dépense. Non si pensi che le argomentazioni bataillane siano valide solo per quel lontano mondo arcaico in cui valevano le leggi (che per noi sembrano assurde al limite del ridicolo) del potlàc.
La dépense vive, ed è costantemente presente anche (e forse soprattutto) nel mondo di oggi.
Le parole di Bataille meritano di essere riportate per la loro incisività: “Intorno alle banche moderne, come intorno agli alberi totemici dei kwakiutl, il medesimo desiderio di offuscare gli altri anima gli individui e li trascina in un sistema di piccole parate che li acceca reciprocamente, come se fossero davanti ad una luce troppo forte. A qualche passo dalla banca, gioielli, abiti, macchine attendono nelle vetrine il giorno in cui serviranno a costituire l’accresciuto splendore di un sinistro industriale e della sua vecchia consorte, ancor più sinistra. A un grado inferiore, pendole dorate, credenze per sale da pranzo, fiori artificiali, rendono servizi egualmente inconfessabili a coppie di droghieri. L’invidia da essere umano a essere umano si libera come tra i selvaggi, con equivalente brutalità: solo la generosità, la nobiltà sono scomparse e, con loro, la contropartita spettacolare che i ricchi ricambiavano ai miserabili.”[3]   La virtù che dona (per usare una bella espressione di Nietzsche) è quella che è venuta a mancare: la dépense antica si esplicava nelle feste, nei banchetti pubblici, fino alle opere straordinarie dell’evergetismo greco-romano: strade, monumenti, opere pubbliche erano finanziati dai ricchi, dai nobili, dai potenti, solo per accrescere il proprio onore, la propria gloria; solo per appagare il proprio desiderio di riconoscimento. Ancora oggi percorriamo quella Via Appia che il patrizio romano Appio Claudio Cieco finanziò col patrimonio della sua gens, la gens Claudia.
Oggi la dépense  si esaurisce nell’accumulazione di beni, nella loro esposizione o anche nella loro mera conservazione: macchine di lusso, gioielli, oggetti innominabili  per mutuare l’espressione bataillana. Lo spirito della dépense della nostra epoca credo possa essere ben rappresentato dai programmi televisivi in cui celebrità del mondo dello spettacolo mostrano le proprie gigantesche case, con i propri mostruosi parchi macchine a compiaciute telecamere e ad ancor più compiaciuti spettatori, appagati dalla mera automanifestazione dell’altrui thymós, in cui proiettano il proprio.
La parte maledetta diviene ancora di più tale, oscura, maledetta sempre più, perché autoreferenziale.
Il petroliere interpretato magistralmente dal premio oscar Daniel Day Lewis in There will be blood potrebbe essere preso come uno dei campioni della dépense timotica più oscura, in cui è sparita ogni traccia di apertura verso l’altro, verso la societas: protocapitalista creatosi da solo, alla sua brama assoluta di affermazione sacrifica tutto: il figlio, l’amicizia, la famiglia, l’amore, l’onore, Dio. La frase che forse incarna meglio il suo thymós ipertrofico lanciato verso  l’inferno dell’egoità autoreferenziale è la seguente: “Io non voglio che altri riescano. Odio la maggior parte della gente. Guardo le persone e non ci trovo niente da attraente. Io vedo il peggio nelle persone. La mia barriera di odio si è alzata, lenta negli anni.” Bataille, prima di Sloterdijk, ed in ciò riconosciuto dal filosofo di Karlsruhe, è stato uno dei primi a dare il giusto valore alle passioni-contro, alla timotica, in campo pubblico, economico-politico per la precisione.
Abbiamo visto nelle lezioni precedenti come attraverso una sapiente gestione dei potenziali timotici degli ultimi, degli umiliati e offesi prima dell’impero, poi dell’intero globo, il cristianesimo abbia fondato un impero politico mondano. Sloterdijk parla appunto del cristianesimo come prima grande banca dell’ira: si gestisce il mondano differendo i potenziali d’odio e di risentimento e rimandandoli al giorno finale, al dies irae, al giorno dell’ira, in cui Dio punirà tutti i colpevoli. E una delle somme beatitudini, sarà, secondo Origene, padre della chiesa, guardare dal paradiso i malvagi che si contorcono nelle fiamme dell’inferno. A Bataille dobbiamo una folgorante descrizione del cristianesimo negli stessi termini: “Esso [Il cristianesimo] si lega strettamente alla disperazione terrestre, non essendo a sua volta altro che un epifenomeno dell’odio che divide gli uomini (…) Il senso del cristianesimo si dà nello sviluppo delle conseguenze deliranti della dépense di classe, in un’orgia menatale agonistica praticata a scapito della lotta reale.”[1]
Abbiamo visto come le passioni-contro, i sentimenti timotici, siano un patrimonio fondamentale da saper gestire ed amministrare, particolarmente nelle modalità del differimento, se si vuole mantenere un solido impianto terreno. E paradossalmente è stato proprio il cristianesimo, che per definizione è rappresentante di un regno che non è di questo mondo, ad avercelo mostrato.
Solo da un ben organizzato impianto di accumulazione e differimento dell’ira possono essere gettate le basi per un controllo politico di masse svuotate dei loro potenziale distruttivi.  L’ordine regna solo dove il thymós è impegnato in attività regolamentate da un fine immanente. Altrimenti all’ordine ed alla regolamentazione statale si sostituisce la rivoluzione, la resistenza, il dissidio, l’ira delle masse.
Non a caso Sloterdijk ricorda che il concetto di resistenza è l’unica alternativa che rimane, fin dall’epoca dei Maccabei, agli sconfitti ed agli oppressi per vivere nel reale, fatto salvo il sottomettersi agli impianti di gestione del thymós o a quelli di oppressione.
[1] G. Bataille, La parte maledetta., op. cit., pag. 44
[2] Il riconoscimento è una tematica cara a Bataille, che l’aveva appresa dal suo più importante referente filosofico (nonché amico e maestro): Alexandre Kojève, che aveva fatto proprio del desiderio di riconoscimento la chiave di lettura della Fenomenologia dello spirito di Hegel, come si è visto nelle precedenti lezioni. [3] G. Bataille, La parte maledetta, op. cit., pag. 52-53
[4] G. Bataille, La parte maledetta, op. cit., pag. 57

Pane e dépense [Antonio Lucci]

24 novembre 2008

Prima della trattazione dell’argomento che ci interessa, ossia il valore economico-politico dell’ira, un breve richiamo ai temi che ci serviranno da strumenti metodologici. E’ utile ricapitolare brevemente ciò che intende Sloterdijk per monetarizzazione dello psichico o per valore monetario delle energie psichiche:
“Ci si deve liberare del pregiudizio che le banche concludano esclusivamente affari monetari. In verità, la funzione della banca copre un ambito fenomenico molto più ampio (…) Dei processi analoghi a quelli bancari si presentano ovunque entità culturali e psicopolitiche – come conoscenze scientifiche, atti di fede, opere d’arte, moti politici di protesta e altro – si accumulino per passare, da un certo grado di accumulazione in poi, dalla forma di tesoro a quella di capitale. Se si ammette l’esistenza di una scienza bancaria non monetaria, appare perciò evidente l’osservazione che banche di un altro tipo, intese come punti politici di raccolta di affezioni, possono amministrare l’ira degli altri come le banche che si occupano di denaro amministrano quello dei loro clienti. (…) Tali banche si presentano di regola come partiti politici o movimenti, cioè sull’ala sinistra dello spettro politico”[1]. Davvero? Vedremo che quest’affermazione, in Italia, è ingiustificata.
Dunque alla base della timotica politica di Sloterdijk c’è l’economia. E viceversa.   Per il pensatore di Karlsruhe, l’economico non ha solo forma monetaria, ma anche forma psichica. E’ un punto importante su cui Sloterdijk giustamente insiste. Infatti la comprensione economica dei movimenti politico-sociali tende spesso a subordinare (come sovra-strutturali) i motivi psichici dell’agire delle masse. Eppure questi stessi movimenti psichici hanno un fondamento economico, seppur non-monetario. Vi sono istituti che, pur non essendo banche, agiscono da collettori, come se fossero banche. Ed esistono contribuenti che, invece di versare liquidità monetaria, investono le proprie energie psichiche in un progetto.
Si può parlare di genealogia timotica dell’economico per definire questo allargamento del pensiero e delle categorie dell’economia ai processi di psicologia storica. Il tutto entro la cornice dell’interesse per quel determinato tipo di passioni che abbiamo raggruppato sotto il nome-collettore di ira, di thymós. Tale acquisizione teorica è molto rilevante nell’economia dell’argomentare di Sloterdijk. Si potrebbe addirittura valutarla il punto più importante del testo che stiamo analizzando. Il carattere monetario e monetarizzabile dello psichico è un fattore fondamentale per comprendere i processi politici. Solo unendo analisi di economia propriamente monetaria e di economia psichica si può raggiungere una piena comprensione dei processi di sviluppo delle società e degli agglomerati umani in genere. L’antico detto panem et circenses ha anche questa possibile lettura: il fattore materiale, il pane, ciò che è un valore fisico, monetario, non basta a soddisfare le masse. Ad esso va aggiunto il circus, la pratica inafferrabile di svago che dà un godimento effimero, estemporaneo, e che però è necessaria per appagare una parte dell’uomo altrettanto importante del corpo, che va alimentato col pane. Lo psichico ha una struttura economica almeno quanto il corporeo. Ed è qui che si inserisce la trattazione della nozione bataillana di dépense, proprio nel punto d’intersezione tra economia materiale ed economia psichica.

[1] P. Sloterdijk, Ira e tempo, Meltemi, Roma 2007, pag. 162

E’ possibile un’economia timotica?

11 novembre 2008

Nel Novecento è come se il processo di domesticazione delle energie timotiche – invocato da Platone e Aristotele – avesse subìto un brusco rallentamento. Un raffreddarsi che d’un tratto s’interrompe del tutto, lasciando che la civilizzazione delle energie timotiche fallisse su tutta la linea, innescando una catena di catastrofi timotiche, favorite anche da una vera e propria pianificazione di una politica dell’ira, promossa da quella che per Sloterdijk è una vera e propria economia dell’ira. Insomma, quelli che in apparenza sono apparsi sbocchi, scoppi, immensi falò innescati dal risentimento e dal furore (nell’esperienza rivoluzionaria del ’17 russo, nei pogrom antirazziali, nel delirio nazifascista) sono stati frutto invece di un piano e di riflessione organizzativa.
Se Nietzsche sarebbe stato il profeta capace di suggerire il concetto alle gigantesche battaglie timotiche del XX secolo, da vero psicologo neo-timotico della modernità, Georges Bataille sarebbe stato invece colui che trasse le più rilevanti conclusioni economiche dalle intuizioni psicologiche nicciane. Georges BatailleMa di un’economia altra, diversa, non più basata su impulsi erotici, cioè sul desiderio, sul voler avere, sul volere annettere, ma su impulsi timotici come il desiderio di riconoscimento e l’autostima. L’orgoglio contro l’avidità. La dissipazione contro il profitto. Il dono contro l’affare. Il merito di Bataille sarebbe dunque l’aver chiesto: “esiste un’alternativa all’accumularsi compulsivo di valore, al tremore cronico davanti al momento del bilancio, alla costrizione inesorabile alla restituzione dei debiti?”[1].

Bataille, insomma, avrebbe com’è noto intravisto la possibilità di un’economia post-capitalistica non basata sui gesti fondativi, che danno e che eccedono, ma sul gesto del perdonare: mentre l’economia capitalistica ordinaria, promossa dall’eros “più basso”, si baserebbe sull’affezione del volere avere, l’economia timotica bataillana si fonderebbe sull’orgoglio di chi si sente libero di dare.  Una frase di Andrew Carnegie dà pieno conto di questo sentire: chi muore ricco getta la vergogna sulla sua vita. Che l’affermazione sia di Carnegie non stupisce: il magnate scozzese emigrato negli Stati Uniti e divenuto il secondo uomo più ricco della storia, è una delle incarnazioni di quel capitalismo timotico che più volte si è presentato sulla scena degli ultimi due secoli, una volta addirittura negli abiti borghesi di Friedrich Engels che per oltre trent’anni usò i profitti della manifattura di Manchester Ermen & Engels di cui aveva ereditato dal padre la comproprietà, per mantenere la famiglia dei Marx a Londra. Carnegie era appassionato di musica: fondò quella che ancora oggi è la Carnagie Hall a New York e finanziò l’acquisto di 6000 organi per chiese in tutti gli Stati Uniti. Quando morì, aveva distribuito in beneficienza 4,5 miliardi di dollari.
Paternalismo? Piuttosto, secondo Sloterdijk, il delinearsi di un orizzonte meta-capitalistico non appena il capitale si volge oltre se stesso.


[1] PS, IeT, pag. 40.