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Pane e dépense [Antonio Lucci]

24 novembre 2008

Prima della trattazione dell’argomento che ci interessa, ossia il valore economico-politico dell’ira, un breve richiamo ai temi che ci serviranno da strumenti metodologici. E’ utile ricapitolare brevemente ciò che intende Sloterdijk per monetarizzazione dello psichico o per valore monetario delle energie psichiche:
“Ci si deve liberare del pregiudizio che le banche concludano esclusivamente affari monetari. In verità, la funzione della banca copre un ambito fenomenico molto più ampio (…) Dei processi analoghi a quelli bancari si presentano ovunque entità culturali e psicopolitiche – come conoscenze scientifiche, atti di fede, opere d’arte, moti politici di protesta e altro – si accumulino per passare, da un certo grado di accumulazione in poi, dalla forma di tesoro a quella di capitale. Se si ammette l’esistenza di una scienza bancaria non monetaria, appare perciò evidente l’osservazione che banche di un altro tipo, intese come punti politici di raccolta di affezioni, possono amministrare l’ira degli altri come le banche che si occupano di denaro amministrano quello dei loro clienti. (…) Tali banche si presentano di regola come partiti politici o movimenti, cioè sull’ala sinistra dello spettro politico”[1]. Davvero? Vedremo che quest’affermazione, in Italia, è ingiustificata.
Dunque alla base della timotica politica di Sloterdijk c’è l’economia. E viceversa.   Per il pensatore di Karlsruhe, l’economico non ha solo forma monetaria, ma anche forma psichica. E’ un punto importante su cui Sloterdijk giustamente insiste. Infatti la comprensione economica dei movimenti politico-sociali tende spesso a subordinare (come sovra-strutturali) i motivi psichici dell’agire delle masse. Eppure questi stessi movimenti psichici hanno un fondamento economico, seppur non-monetario. Vi sono istituti che, pur non essendo banche, agiscono da collettori, come se fossero banche. Ed esistono contribuenti che, invece di versare liquidità monetaria, investono le proprie energie psichiche in un progetto.
Si può parlare di genealogia timotica dell’economico per definire questo allargamento del pensiero e delle categorie dell’economia ai processi di psicologia storica. Il tutto entro la cornice dell’interesse per quel determinato tipo di passioni che abbiamo raggruppato sotto il nome-collettore di ira, di thymós. Tale acquisizione teorica è molto rilevante nell’economia dell’argomentare di Sloterdijk. Si potrebbe addirittura valutarla il punto più importante del testo che stiamo analizzando. Il carattere monetario e monetarizzabile dello psichico è un fattore fondamentale per comprendere i processi politici. Solo unendo analisi di economia propriamente monetaria e di economia psichica si può raggiungere una piena comprensione dei processi di sviluppo delle società e degli agglomerati umani in genere. L’antico detto panem et circenses ha anche questa possibile lettura: il fattore materiale, il pane, ciò che è un valore fisico, monetario, non basta a soddisfare le masse. Ad esso va aggiunto il circus, la pratica inafferrabile di svago che dà un godimento effimero, estemporaneo, e che però è necessaria per appagare una parte dell’uomo altrettanto importante del corpo, che va alimentato col pane. Lo psichico ha una struttura economica almeno quanto il corporeo. Ed è qui che si inserisce la trattazione della nozione bataillana di dépense, proprio nel punto d’intersezione tra economia materiale ed economia psichica.

[1] P. Sloterdijk, Ira e tempo, Meltemi, Roma 2007, pag. 162

E’ possibile un’economia timotica?

11 novembre 2008

Nel Novecento è come se il processo di domesticazione delle energie timotiche – invocato da Platone e Aristotele – avesse subìto un brusco rallentamento. Un raffreddarsi che d’un tratto s’interrompe del tutto, lasciando che la civilizzazione delle energie timotiche fallisse su tutta la linea, innescando una catena di catastrofi timotiche, favorite anche da una vera e propria pianificazione di una politica dell’ira, promossa da quella che per Sloterdijk è una vera e propria economia dell’ira. Insomma, quelli che in apparenza sono apparsi sbocchi, scoppi, immensi falò innescati dal risentimento e dal furore (nell’esperienza rivoluzionaria del ’17 russo, nei pogrom antirazziali, nel delirio nazifascista) sono stati frutto invece di un piano e di riflessione organizzativa.
Se Nietzsche sarebbe stato il profeta capace di suggerire il concetto alle gigantesche battaglie timotiche del XX secolo, da vero psicologo neo-timotico della modernità, Georges Bataille sarebbe stato invece colui che trasse le più rilevanti conclusioni economiche dalle intuizioni psicologiche nicciane. Georges BatailleMa di un’economia altra, diversa, non più basata su impulsi erotici, cioè sul desiderio, sul voler avere, sul volere annettere, ma su impulsi timotici come il desiderio di riconoscimento e l’autostima. L’orgoglio contro l’avidità. La dissipazione contro il profitto. Il dono contro l’affare. Il merito di Bataille sarebbe dunque l’aver chiesto: “esiste un’alternativa all’accumularsi compulsivo di valore, al tremore cronico davanti al momento del bilancio, alla costrizione inesorabile alla restituzione dei debiti?”[1].

Bataille, insomma, avrebbe com’è noto intravisto la possibilità di un’economia post-capitalistica non basata sui gesti fondativi, che danno e che eccedono, ma sul gesto del perdonare: mentre l’economia capitalistica ordinaria, promossa dall’eros “più basso”, si baserebbe sull’affezione del volere avere, l’economia timotica bataillana si fonderebbe sull’orgoglio di chi si sente libero di dare.  Una frase di Andrew Carnegie dà pieno conto di questo sentire: chi muore ricco getta la vergogna sulla sua vita. Che l’affermazione sia di Carnegie non stupisce: il magnate scozzese emigrato negli Stati Uniti e divenuto il secondo uomo più ricco della storia, è una delle incarnazioni di quel capitalismo timotico che più volte si è presentato sulla scena degli ultimi due secoli, una volta addirittura negli abiti borghesi di Friedrich Engels che per oltre trent’anni usò i profitti della manifattura di Manchester Ermen & Engels di cui aveva ereditato dal padre la comproprietà, per mantenere la famiglia dei Marx a Londra. Carnegie era appassionato di musica: fondò quella che ancora oggi è la Carnagie Hall a New York e finanziò l’acquisto di 6000 organi per chiese in tutti gli Stati Uniti. Quando morì, aveva distribuito in beneficienza 4,5 miliardi di dollari.
Paternalismo? Piuttosto, secondo Sloterdijk, il delinearsi di un orizzonte meta-capitalistico non appena il capitale si volge oltre se stesso.


[1] PS, IeT, pag. 40.