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Narrazioni, biconcettualismo e politica

12 dicembre 2008
11.9.2001 Ground Zero

11.9.2001 Ground Zero

Nell’immaginare e nel vivere una determinata esperienza si attiva la stessa struttura neuronale. L’11 settembre 2001 è stato un evento che ha causato un’enorme paura. Ovviamente, innanzitutto per chi lo ha vissuto in prima persona, ma poi anche per chi lo ha seguito in televisione, o su internet, migliaia di chilometri lontano da NY. Eppure, in migliaia di spot elettorali i Repubblicani hanno ripetuto le immagini delle due torri che si sbriciolavano al suolo, continuando a causare e a diffondere paura. Lo stesso linguaggio adottato negli spot (minaccia, attacco, terroristi) e nella retorica dei Repubblicani può continuare ad evocare paura una volta che i circuiti neuronali si sono fissati nel nostro cervello. In questo modo, c’è chi può fare un uso politico della paura.
Alcuni modelli narrativi, dicevamo,si sono manifestati più capaci di altri di suscitare consenso ed immedesimazione. La narrazione che vede un salvatore accorrere in aiuto di una vittima innocente, si è dimostrato per esempio negli ultimi anni un contesto vincente. Tanto è vero che due Presidenti americani, padre e figlio, vi hanno fatto ricorso a distanza di una decina d’anni.
Nella prima Guerra del Golfo, il primo Presidente Bush ha tentato inizialmente la strada della narrazione autodifensiva: Saddam Hussein stava minacciando gli Stati Uniti, strozzando i suoi oleodotti. I dimostranti pacifisti controbbatterono con lo slogan “No Blood for Oil” [Niente sangue per il petrolio], e funzionò. Un sondaggio tre mesi prima dell’inizio della guerra attestava che gli americani non si sarebbero battuti per il petrolio. Ma che lo avrebbero fatto per salvare qualcuno. Subito dopo il sondaggio, la narrazione presidenziale cambiò, divenendo una narrazione salvifica: bisognava accorrere in aiuto del Kuwait stuprato. La figlia di un diplomatico dell’emirato fu fatta testimoniare di esser stata vittima di uno stupro perpetrato dall’esercito invasore di Saddam. Saddam diveniva così il Bruto, il Kuwait e le sue donne le vittime innocenti e gli Stati Uniti l’Eroe Buono che accorre in difesa.
Inutile dire qui delle realtà che si celavano dietro la narrazione. Ognuno ha le proprie idee politiche.
US-IRAQ-POLITICS-BUSH-SPEECHE’ interessante che lo stesso spostamento accade dieci anni dopo in occasione della Seconda Guerra del Golfo. Prima, George W. Bush tenta la carta della narrazione dell’auto-difesa: Saddam avrebbe avuto armi di distruzione di massa. Ma dato che gli osservatori ONU non le trovano, la narrazione cambia e diviene ancora una volta una narrazione salvifica: le vittime sono i popoli iracheni, angariati e bombardati dal Bruto Saddam, popoli da salvare portando loro la democrazia e liberandoli dalle torture, dagli stupri, dalla corruzione e dagli omicidi.

La struttura profonda della narrazione resta la medesima: in due guerre diverse (?), con due Presidenti diversi osserviamo lo stesso spostamento narrativo: se un contesto narrativo non funziona, se ne adotta un altro che ha già funzionato. bush-abdullah-holding-handsCiò è stato possibile perché nei cervelli degli americani – secondo la teoria di Lakoff – si danno le strutture limbiche profonde in grado di accogliere casi diversi ma analoghi: “i legami neuronali permanenti permettono che queste strutture narrative generali siano applicate ad ogni nuovo caso particolare”[1].
Nella teoria dello studioso di Berkeley, conservatori e progressisti quindi non hanno solo fini e valori diversi, ma anche differenti modi di pensare. E’ per noi curioso che esista un modo di pensare conservatore ed uno progressista: e come pensa Casini? Secondo Lakoff, quelli che si sentono di centro usano a volte il modo di pensare progressista ed altre quello conservatore. La teoria cognitivista non ammette moderati: non esiste una visione del mondo moderata, nessuno ha un set di idee che caratterizza un “centro” o la “moderazione”: “chi si definisce moderato usa il pensiero conservatore in alcuni ambiti e quello progressista in altri, senza con ciò rientrare in una scala lineare sinistra-destra”[2]. Non solo: secondo Lakoff, il fine ultimo dell’utilizzo della metafora della scala destra-sinistra serve a favorire i conservatori radicali ed a marginalizzare i progressisti. Almeno nei cervelli degli americani ci sono solo due modi di pensare, uno fondamentalmente progressista ed uno fondamentalmente conservatore. Chi è in mezzo, usa entrambi. E’ quello che Lakoff definisce biconcettualismo; vale a dire la capacità del nostro cervello di funzionare secondo una logica in certe occasioni e in altre secondo un’altra. Non si tratterebbe di ipocrisia, ma della reale capacità – frutto ancora una volta dell’organizzazione cerebrale – di separare ambiti diversi.
A lungo ho pensato che l’essere umano moderno occidentale fosse essenzialmente “di destra”. Cioè che i suoi desideri profondi fossero guidati da quel potente motore che è l’istinto di sopravvivenza. Per superare le ragioni del quale ritenevo fossero necessarie mediazioni culturali, un’opera di addomesticamento degli istinti. Al dilemma tradizionale: due uomini davanti ad una mela, se la contenderanno o la spartiranno?, pensavo fosse lecito rispondere: dipende dal loro interesse in quel momento, se converrà loro, la divideranno, altrimenti se la contenderanno. In altri termini, ritenevo prevalesse l’interesse proprio, ancorché modulabile.
Oggi, la scoperta dei neuroni-specchio e la semantica cognitivista potrebbero indurre a modificare la risposta. Empatia e cooperazione sembrerebbero altrettanto naturali dell’argomento dell’interesse proprio[3]. D’altra parte, come proviamo paura nel vedere un delitto o un incidente ad altri, come fosse capitato a noi, allo stesso modo proviamo piacere, facendo cose che risultano gradite agli altri.

neurone

neurone

A questo proposito, Lakoff si sofferma sull’importanza della scoperta (che si deve essenzialmente ad un’équipe italiana) dei neuroni-specchio. È grazie ai neuroni specchio che capiamo intuitivamente se qualcuno è arrabbiato, spaventato o felice. E questo permette di immedesimarsi nelle altre persone, il che suggerisce che l’empatia sia qualcosa di connaturato, e che quindi non sia affatto vero che l’unico istinto “naturale” dell’uomo sia la ricerca e il conseguimento dell’interesse personale. Tutto ciò avrebbe conseguenze morali, politiche ed economiche molto importanti. Sono molte le teorie delle scienze politiche incentrate sulla ricerca dell’interesse personale. Ma non sono vere, e hanno pesanti ripercussioni politiche.
I neuroni specchio hanno anche importanti conseguenze per una teoria del significato. Essi si attivano quando si compie una certa azione, oppure quando si vede qualcun altro compierla. Questo loro comportamento mostra che sono in un qualche modo neutrali tra azione e percezione. E questo è esattamente ciò che il linguaggio è. Ciò significa che è molto probabile che i neuroni specchio siano coinvolti nel significato di tali azioni. Il che sembra dare origine a una teoria del significato secondo cui questo è basato sulla simulazione mentale. In ogni caso, secondo Lakoff è evidente il debito nei confronti degli studi recenti nel campo delle neuroscienze.


[1] G. Lakoff, The Political Mind, cit., pag. 38.
[2] Ivi, pagg. 44-5.
[3] Ivi, vedi pag. 202 e segg.

Il caso ANS

12 dicembre 2008

ap101330310604084252_bigForse, adesso dovremmo essere in grado di capire qualcosa del senso mitico della vita e della morte di Anna Nicole Smith e di come mai ciò abbia a che fare con la politica.
Nel caso della Smith, si danno molte semplici narrazioni ed emozioni ready-made. Mettendo insieme il tutto, si ottengono delle montagne russe di emozioni complesse, ed un intreccio complesso.
La prima narrazione che la sua storia ripropone è quella del poveraccio-che-diventa-ricco. La narrazione stessa è un’icona americana, una versione dell’american dream: l’americano che parte povero e che arriva in alto. Che poi è una versione particolare della narrazione della reinvenzione del sé: in America, reinventarsi è premiante (vedi i casi di Richard Nixon e di Al Gore, recentemente). Anche Vickie Lynn Hogan, una ballerina di topless, si reinventò, dandosi un nuovo nome ed una nuova identità: appunto quella di Anna Nicole Smith.
ans_playboycoverLa catena dei primi fatti: una ragazza qualsiasi, certamente bella, come Anna Nicole viene scelta per apparire nuda su “Playboy”, diventa Playmate of the Year, le viene offerto un contratto miliardario dai jeans Guess? e sposa infine un miliardario vero, anche se vecchio, J. Howard Marshall. E’ più della narrazione del povero-che-diventa-ricco. E’ l’incarnazione dell’americano redento, dell’eroe prima a terra e che sembra un perdente e che poi si rialza e con le proprie forze (ehm…) si strappa dalla condizione subalterna di cameriera, poi di ragazza-madre senza una lira e infine di ballerina di topless. Diviene una celebrità in quanto celebrità, non perché sappia far qualcosa. Secondo tempo: Anna Nicole appare sempre più spesso in televisione, ha perfino un suo programma. Intanto ingrassa a dismisura e a dismisura dimagrisce, fa uso di droghe, ama e sbeffeggia contemporaneamente l’anzianissimo coniuge; perde il figlio adolescente avuto da adolescente per un overdose di metadone, ed infine muore anche lei, sembra per un cocktail di droghe.

Marilyn Monroe

Marilyn Monroe

Perfino la sua morte incarna quindi una delle principali narrazioni standard, simile a quella di Marilyn Monroe, di Jayne Mansfield, di Janis Joplin, per restare alle signore: vivi in fretta, muori giovane. Cosa rende allora ANS una figura tipica? Il fatto di incarnare contemporaneamente tutte queste narrazioni fatte da luoghi comuni ed una serie di contesti tipicamente americani. Quasi come un’icona pop o un personaggio dei fumetti. Come questi ultimi, ANS non aveva una propria realtà indipendente, ha vissuto solo nelle narrazioni e nei contesti nei quali ha trovato spazio.

Jane Mansfield

Jane Mansfield

Le donne dell’America profonda si sono riconosciute nella povera ragazza dal buon cuore e con poca educazione, disposta a giocare le uniche carte che aveva: il proprio corpo e la propria determinazione per diventare famosa e far fortuna.
Anche i suoi difetti rientrano perfettamente in altre narrazioni standard: il suo egoismo straripante, la sua avidità, il suo scarso talento, il suo arrivismo che la indusse a sposare e perfino a fare sesso con un novantenne, la fanno rientrare nella narrazione tipica della “donna avida d’oro”: senza cuore, manipolatrice, disposta a sposare un uomo più vecchio di lei di sessant’anni per denaro, divoratrice di carte di credito in gioielli e vestiti, lontana da lui al momento della sua morte, poi impegnata in un durissimo contenzioso legale col figlio di lui per l’eredità, fino alla Corte Suprema.

Anche la narrazione della “vita spericolata” le si addice. Diciannovenne con un figlio, viene piantata dal compagno e si ritrova a dover usare il proprio corpo per guadagnare, facendo la spogliarellista nei topless bar di Houston. Fa uso di droghe e beve. Viene arrestata per guida in stato di ubriachezza e per rapina. E’ bisessuale, viene anche denunciata da una donna per molestie sessuali.
anna_nicole10_300La sua storia rientra anche nella narrazione di “come sposo un milionario”. Come Marilyn Monroe e Julia Roberts nei loro ruoli famosi, ANS è una ragazza ingenua dal cuore d’oro che un miliardario capisce e rispetta, ed il suo rispetto gli fa vincere il suo cuore.
Insomma, una serie di storie le calzano a pennello. Tutte narrazioni e contesti nei quali gli americani non fanno alcuna fatica ad immedesimarsi.
Ma a proposito della narrazione del redento, ecco il ponte con la politica. Nell’agosto scorso, John McCain e Barack Obama, in quanto candidati alla Presidenza degli Stati Uniti, si sono offerti in pubblico ad una confessione delle proprie colpe passate. McCain ha confessato di sentirsi in colpa per il fallimento del suo primo matrimonio. In effetti, il Senatore repubblicano lasciò la prima moglie dopo che, a causa di un incidente, lei si era imbruttita. Il Senatore dell’Illinois ha confessato invece una colpa giovanile: essersi fatto delle canne da ragazzo.
Già in passato il rito espiatorio aveva visto protagonisti Bill Clinton, infine reo confesso di aver praticato sesso orale con altri dalla propria moglie – colpa lieve questa specialmente, divenuta però gravissima perché lo indusse a mentire di fronte al Congresso; George W. Bush, ha dichiarato i suoi trascorsi di ex alcolista anonimo per affezione al bourbon e di renitente alla leva. In ogni caso, confessare significa per gli Americani dimostrare che non si ha più paura di un passato imbarazzante. Smettere di bere significa allora, per esempio, accreditarsi agli occhi del pubblico come appunto un Redento, colui che non pecca più ma che è passato attraverso il peccato. Ed ogni insuccesso passato diviene testimonianza del suo contrario, della forza di carattere.

Amy Winehouse

Amy Winehouse

Il primo grande successo di Amy Winehouse, di suo piuttosto incline al bere ed alle droghe, si chiamava Rehab, che stava proprio per rehabilitation: anche nel mondo inglese si fa strada la narrazione del peccatore che si redime.
Ma il fatto che si faccia così tanto affidamento sulla capacità del pubblico di riconoscere istantaneamente questi contesti – in questo caso, autoassolutori – e queste narrazioni prova quanto essi siano fisicamente insediati nei nostri cervelli. Secondo Lakoff, non che ci sia nati, ma certo siamo cresciuti esposti a loro e li abbiamo acquisiti come strutture narrative profonde, al punto da conformare una serie di nostre sinapsi. Non riusciamo a capire gli altri se non ricorrendo a queste narrazioni culturali. Ma, il che è più rilevante, non possiamo neppure capire noi stessi, chi siamo, chi siamo stati e dove vogliamo arrivare, senza riconoscere e vedere come ci adattiamo a questi modelli narrativi culturali. Capiamo le figure pubbliche calandole in questi modelli narrativi complessi insediati nei circuiti neuronali del nostro cervello. Ma dobbiamo sapere che essi possono essere attivati e funzionare inconsciamente, automaticamente, in modo riflesso. E vediamo e consideriamo ANS o George W. Bush senza pensare al fatto che il modo in cui li consideriamo non dipende solo e tanto dalle nostre scelte consce, quanto dalle scelte narrative operate dal nostro cervello al di là della nostra consapevolezza conscia.
E allora? Cosa possiamo fare? Secondo Lakoff, dobbiamo sforzarci di rendere l’inconscio cognitivo il più possibile conscio, così da far diventare le decisioni da riflesse, riflettute. Pur sapendo che in un certo senso non possiamo sfuggire al dato; le narrazioni culturali sono nel nostro cervello e ci appartengono, ed è illusorio pensare di valutare qualcuno o qualcosa al di fuori di loro.
Nel che scorgo l’affacciarsi di una contraddizione: dopo aver criticato aspramente, e con ottime ragioni, la razionalità pura del modello di mente illuminista, Lakoff indulge in un tentativo anch’esso tipicamente “illuministico”, come quello di portare a consapevolezza quel che non lo è. Che è poi una critica ormai di scuola rivolta anche alla psicoanalisi: se l’inconscio è tale, come è possibile “dirlo” consciamente? O, più terra terra: se Freud non incorse in un lapsus paragonando l’inconscio allo Zuiderzee, il mare interno degli olandesi da bonificare, possibile che il compito delle forze che si pongono dalla parte della ragione sia sempre quello di dover sottrarre spazio e campo alle emozioni ed alle passioni? D’altra parte, ed in un luogo ben più rilevante della sua opera, Freud ha spiegato di concepire l’inconscio come la parte emersa dell’immenso iceberg costituito dall’inconscio. Immagine che vale assai più della precedente e più in sintonia con questo nostro corso, che intende spinozianamente non creare discontinuità tra ragioni e passioni.

Il fatto è che la politica, ed il campo conservatore soprattutto, ha capito benissimo il ruolo ed il peso dei contesti narrativi: Anna Nicole Smith ne è la prova. Ha capito perfettamente quanto pesante sia il ruolo delle narrazioni e quanto alcune funzionino meglio di altre.

Mente e narrazioni

12 dicembre 2008

Nel primo capitolo di The Political Mind, viene illustrato il funzionamento di base dei processi cerebrali e come la mente politica si attivi attraverso un esempio curioso. L’esempio è assolutamente extrapolitico, colto dall’attualità, anzi dal gossip fiorito intorno ad una persona della quale i media americani si sono occupati per anni: Anna Nicole Smith.

Anne Nicole Smith

Anne Nicole Smith

Che c’entra una ex-coniglietta di Playboy coi nostri discorsi? Risponde David Rieff, tra i più influenti scrittori americani: “non capirete mai come funziona la politica americana , se non capirete Anna Nicole Smith”. Come ha scritto una delle firme di punta del “Washington Post”, Philip Kennicot, “she had gotten under our skin, and taken on a role we didn’t quite realize was so big in the history of marriage, money and sex”[1]. La tesi di Lakoff è che la vita e la morte nel febbraio 2007 di questa trentanovenne, americana come poche, abbiano avuto una così vasta risonanza tra il pubblico perché incarnava una consistente varietà di narrazioni. Vedremo come e perché questo ha a che fare con la politica.
Occorre però prima dire qualcosa sulle narrazioni, o storie, nell’accezione della semantica cognitivista.
Le narrazioni complesse – quelle che troviamo nella storia di ognuno, così come nelle favole, nei romanzi e nei drammi – sono composte a loro volta  di piccole narrazioni dalle strutture molto semplici. Queste strutture sono dette frames o scripts.
I contesti [frames] sono tra le principali strutture cognitive che ci permettono di pensare. Per esempio, quando leggiamo un giallo, ecco una cornice tipica con diversi personaggi: l’assassino, la vittima, i possibili complici, i sospetti, il movente, l’arma del delitto, il detective. C’è poi lo scenario nel quale l’assassino agisce ed è poi scoperto dall’inquirente. Secondo Erving Goffman (creatore della framing theory, autore caro alla generazione post-Sessantottina non foss’altro che per Asylums, il libro che gettò un ponte tra la critica statunitense alle istituzioni totali e la ricerca e la rivoluzione basagliana), tutte le istituzioni sono costituite da contesti. Per esempio, un ospedale: ci sono i medici, gli infermieri, i pazienti, i parenti in visita, le sale operatorie, le TAC eccetera e gli scenari sono quelli che ciascuno di noi può prefigurarsi entrando in un ospedale, come l’accettazione, le visite, il ricovero, le operazioni chirurgiche, eccetera.
[Di recente, alla Posta di piazza Bologna, stavo in fila e dietro di me c’era un papà con un bambino di due-tre anni che chiedeva insistentemente: è vero che questo è un ospedale? Evidentemente, era da poco stato in un ospedale ed il contesto delle Poste (a lui ignoto) tendeva ad essere incasellato dal suo cervello negli schemi creati per accogliere quello dell’ospedale. Il padre rispondeva solo: no, questo non è un ospedale, e il bimbo richiedeva ossessivamente “è vero che questo è un ospedale?”, perché le sue sinapsi cerebrali gli riproponevano quel contesto. Il padre gli avrebbe dovuto rispondere: no, quelli sono impiegati e non medici, questi signori che aspettano come noi stanno bene, non sono malati, eccetera, fornendo cioè nuovi elementi per creare un diverso contesto, un diverso frame].
La struttura dei contesti può però essere violata o forzata e risultare spiazzante: immaginate cosa proveremmo entrando in un ospedale e vedendo che i parenti in visita stanno operando ed i medici siedono invece al banco delle informazioni (con effetto comico o tragico: l’ospedale più pazzo del mondo, oppure la hostess che si trova a dover far atterrare un jet dopo che i terroristi hanno ucciso il pilota). Credo sia per questo che alcuni contesti risultano difficilmente accoglibili da chi ha setting molto rigidi, prefissati: tipicamente, l’idea di una famiglia nucleare con due mamme o due papà e dei figli, invece della più “normale” coppia etero. A suo tempo, il prete in borghese o il topless in spiaggia. In altri termini, reagiamo di fronte a contesti nei quali un elemento caratterizzante viene cambiato. E’ importante reagire, significa che la nostra attenzione nei confronti della realtà è vigile. Dobbiamo anche tener conto che l’introduzione di elementi nuovi in contesti tradizionali a volte è decisa dalla politica. Soprattutto in questi casi occorre che l’attenzione sia desta. Per esempio, la recente decisione del Governo italiano di distaccare tremila militari per l’ordine pubblico.

soldati per strada

soldati per strada

Il contesto della piazza italiana, prima, non prevedeva la presenza – oltre che del gelataio, della chiesa, del vigile urbano, dei negozianti, dei ragazzetti sulle moto, degli anziani sulle panchine, magari dei dropout che in un angolo si facevano – anche dei militari in tenuta operativa e con armi alla mano. Vogliamo farci andar bene che nel contesto generale della piazza italiana s’inserisca anche questo nuovo protagonista, il militare col mitra e la mimetica? Tra qualche mese, forse qualche anno, i nostri bambini potrebbero non chiederci più, entrando in una nostra piazza: “papà, perché quel signore ha un fucile?”.
Perfino le azioni più semplici, come afferrare un oggetto, hanno una struttura contestuale che può essere osservata a livello neuronale. I ruoli sono l’afferrante, l’oggetto afferrato e la parte del corpo usata per afferrare. Lo scenario è basic: il movimento del braccio per acchiappare la cosa, la mano che la tocca e che poi si chiude attorno all’oggetto. Ma contesti molto semplici possono venir combinati per formarne di molto complessi. Le narrazioni semplici hanno la forma di scenari basati su contesti, ma con una struttura extra. C’è un Protagonista. Molte narrazioni si assomigliano. Si danno una serie di ruoli semantici, per i diversi personaggi: l’eroe, la vittima, gli amici, eccetera. Il nostro cervello osserva e registra contesti e scenari e li collega. Ogni neurone ha tra le 1.000 e le 10.000 connessioni in entrata da altri neuroni ed altre 1.000-10.000 connessioni in uscita. Ci sono tra i 10 ed i 100 miliardi di neuroni in un cervello, il che significa che il numero delle connessioni è nell’ordine di trilioni, così come il numero dei circuiti. Molti di questi, sono circuiti connettivi [binding]. La connessione neuronale può creare esperienze emotive. Nell’area del sistema limbico, la parte più antica del cervello in termini evolutivi, ci sono due pathways emozionali con diversi neurotrasmettitori: uno per le emozioni positive (felicità, soddisfazione), il circuito dopaminergico, ed uno per le emozioni negative (paura, ansia e rabbia. Come se il carro alato del Fedro trovasse spazio a livello delle strutture limbiche. In sostanza, “le narrazioni ed i contesti non sono soltanto strutture cerebrali dal contenuto intellettuale, ma piuttosto hanno contenuti integrati tra l’emotivo e l’intellettuale. Il circuito connettivo neuronale offre questa integrazione[2].


[1] Philip Kennicot, The Fantasy of Happily Ever After, “The Washington Post”, 9 febbraio 2007.

[2] Ivi, pag. 28.