Nel decimo episodio della versione teatrale, Pasolini fa incontrare in sogno Julian – il protagonista principale – e Spinoza. Sì, Spinoza il filosofo. Si tratta di un incontro e di un colloquio rilevanti, perché nella tragedia teatrale la presenza e le parole di Spinoza danno alla morte di Julian un significato che nel film non è altrettanto chiaro. Nel film, infatti, Spinoza non compare.
L’opera è divisa in due episodi, o in due parti, continuamente intrecciate. Nella prima, si racconta di un cannibale, prima, e poi di un gruppo di cannibali che – su di un vulcano – attaccano e divorano gli Altri. Fino alla sconfitta, ovviamente: la trasgressione non paga fino in fondo. Il secondo episodio è la storia di una famiglia di industriali tedeschi – i Klotz – nella Germania del secondo dopoguerra. Il padre-padrone finisce con l’allearsi col suo maggior concorrente (nel film, Ugo Tognazzi), mentre il figlio Julian (interpretato da Jean-Pierre Léaud, l’attore simbolo della nouvelle vague) non riuscirà ad amare che dei maiali, fino a farsi sbranare da loro.
Nel dramma teatrale le parole di Spinoza aiutano ad illuminare il senso dell’atto di Julian di sacrificarsi ai maiali. Spinoza viene scelto da Pasolini proprio perché si è occupato del rapporto tra ragione e passioni. Il filosofo borghese Spinoza si rivolge al borghese Julian con una mozione degli affetti e lo invita a tornare in seno alla famiglia, alla società, poiché razionalmente solo quello è il luogo dove è possibile «la libertà dell’eresia e della rivoluzione». Occorre far parlare ragioni e passioni. Altrimenti, come per il santo eremita cannibale dell’altro episodio, non resta che il sacrificio, l’atto di sentimento, passionale, corporeo: quell’atto che si sta accingendo a compiere Julian dandosi in pasto ai maiali, e che il personaggio Spinoza assimila alle azioni dei santi che «hanno predicato / senza dire una parola – col silenzio, / con l’azione, con il sangue, con la morte»[1].
Uno Spinoza che assomiglia via via sempre di più al Pasolini degli anni Sessanta spiega a Julian che “se il terreno di confronto è la mera Ragione, la Ragione avalla sempre il diritto del più forte […]. Dal dominio totalitario della Ragione tecnocratica ci si libera solo attraverso il recupero del sacro, dell’Altro. È solo la pura vita, ciò che è prima e dopo dei gesti e delle parole, a poter superare il totalitarismo tecnocratico, vita a cui il senso appartiene da sempre”[2].
La vita informa ragione e sentimenti e ne costituisce lo sfondo ineliminabile, la Terra.
[1] Matteo Gilebbi. Orgia di parole. Suggestioni su ritualità e linguaggio in Pier Paolo Pasolini, University of Wisconsin-Madison, Spring 2007, pag. 18, https://mywebspace.wisc.edu/gilebbi/web/Papers/Pasolini_Orgia_parole_paper2007.pdf
[2] Serafino Murri. Pier Paolo Pasolini, Editrice Il Castoro srl, Milano, pag. 112.
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