Lo spaesamento è un concetto fondamentale nel sistema di Peter Sloterdijk. A monte, e ad esso riconducibile, vi è un nodo cruciale. Il concetto stesso di umanità sarebbe gravido di un paradosso attivo, esprimibile nella formula seguente: noi tutti formiamo una comunità con gente con cui non abbiamo nulla in comune. Gente non in quanto soggetto sovra individuale, ma puro agglomerato di unità singole e irrelate. Dopo Castoriadis, Claessens e Luhmann, dovrebbe esserci chiaro che le società sono società, fin quando riescono ad immaginarsi tali.
L’innesco di questa bomba logica a scoppio ritardato sarebbe nel concetto stesso di specie, perché concepito a carattere inclusivo[1]. La deflagrazione continua di questo ordigno scuote la possibilità stessa della Politica e ne mina le fondamenta. Come fare comunità con i diversi? E chi sono costoro e da chi ed in che sono diversi da noi? Ma soprattutto, date le premesse, chi siamo noi? è possibile individuare appunto una comunità che non sia virtuale, o fittizia? Se, come scriveva Camus, oggi la disgrazia è la patria comune, se lo spirito di desolidarizzazione privata, locale, nazionale, multinazionale, imperiale giunge così in profondità, non ci attenderanno forse – sostiene Sloterdijk – decenni futuri pieni di pericoli, nel segno della nuova situazione multi-egoistica?
Proveremo a rispondere, giovandoci delle interessanti riflessioni svolte su di un piano sociologico da Aldo Bonomi, in una pubblicazione recente.

Aldo Bonomi
Ma il fondatore ed animatore del consorzio A.A.STER, da più di dieci anni sta tracciando una mappa avvincente del lavoro e dei conflitti italiani, soprattutto al Nord. Era del 1997 Il capitalismo molecolare, La società al lavoro nel Nord Italia (Einaudi, Torino) che mostrava come nel nord Italia ci fossero 67,9 imprese per ogni 1000 abitanti, con una media di 4,9 addetti, di cui solo il 18,5% costituito da imprese manifatturiere. Il libro rilevava un dato ormai evidente: grande fabbrica e pubblica amministrazione occupavano una parte ormai ridotta del “popolo dei produttori” del Nord, e ancor più oggi, dieci anni dopo. Composto da situazioni difformi, il Nord si presentava già allora come un arcipelago di contraddizioni e conflitti fra territori e sistemi produttivi, diviso tra aree alpine e pedemontane attivamente attraversate dalla globalizzazione e “zone tristi”, escluse dalla modernizzazione.
Ma il Nord non è solo erotizzazione attraverso l’acquisto di beni. Il libro del 2000, Il distretto del piacere, esplorava l’altra faccia della medaglia, il territorio sempre al Nord nel quale prosperano le filiere dell’impulso, dell’emozione e del desiderio. E come per la fabbrica fordista o per il capitalismo molecolare si danno città e distretti produttivi in cui è possibile osservare le forme dei lavori e dei conflitti, così in quel territorio che va da Gardaland a Rimini e a Cattolica, includendo anche la città-regione di Bologna e Venezia, si dispiega la “fabbrica libertina” che può essere indagata e raccontata come il distretto del piacere. Qui il corpo diviene moneta vivente nel circuito produttivo della “liberazione” fisica e sessuale: fitness, body trance, massaggi, meditazione, rilassamento, tatuaggi, danza. Qui mettono al lavoro la loro “nuda vita” le cubiste, i DJ, i PR e i tanti nuovi “attivi senz’opera” nel ciclo del “tempo libero” fatto di parchi-gioco e villaggi-vacanze.
Ma il distretto del piacere, oltre a essere un nonluogo delle emozioni, dello spettacolo e del turismo, è anche un iperluogo della produzione dove lavorano – per lo più in forma precaria, saltuaria, stagionale – 150.000 addetti: quanti ne aveva un tempo la FIAT a Torino.
Prima di continuare a riflettere sui sentimenti degli italiani di oggi, Bonomi alla mano, vorrei tornare un attimo a Sloterdijk e correggerlo con Sloterdijk stesso, facendo notare che almeno una cosa importante i protagonisti atomistici di questa communitas che tale non è, la condividono eccome: ed è quella dinamica del desiderio nei confronti delle cose, innescata da quelle che Bonomi chiama “le piccole fredde passioni“, tipiche dell’attuale fase storica e che appartiene in pieno, secondo il nostro autore, alla declinazione erotica delle passioni del soggetto. Rispondendo ad un’intervista su “L’Espresso” un anno fa, Sloterdijk diceva: “Siccome le agenzie celesti sono fallite, non ci rimane che il capitale, in cui ripongono le speranze sei miliardi di fedeli consumatori. Il capitalismo è un progetto di antropologia universale. Al suo interno l’uomo è prima di tutto un essere che desidera. Non in senso materialistico, ma edonistico: dall’epoca moderna in poi, l’uomo occidentale cerca la felicità tramite il possesso di oggetti e consumo di merci”.
Insomma, ci si deve accontentare dei beni di qua, se quelli di là non ci vengono più presentati con la stessa incisività e persuasione di una volta: “Il più grande e, in apparenza, affidabile banchiere della storia resta Dio, l’amministratore delegato dell’eternità. E il suo istituto di credito è il Paradiso. Miliardi di fedeli hanno investito nei secoli le speranze in Dio, attendendo il riscatto della vita eterna…”[2]. Oggi la fede cristiana è in crisi, mentre quella nel capitalismo – nonostante le profonde ferite inferte all’ambiente e le turbolenze finanziarie dei mercati – gode di una salute migliore e la felicità viene sempre più ricercata attraverso il possesso di beni materiali. Come dimostra la breve fenomenologia della ricchezza del Nord Italia illustrata appunto da Aldo Bonomi nel suo più recente lavoro. In altri termini, vi è un vasto mercato di merci concepite per soddisfare i desideri erotici delle persone. Che ne è del mercato dei desideri timotici? C’è la stessa offerta? A mio avviso, dopo il fallimento delle due banche universali dell’ira alle quali Sloterdijk si riferisce usualmente – il Paradiso dei Santi e quello dei Rivoluzionari – il mercato delle passioni timotiche ha subito una contrazione avvilente che ha fatto sì che, in capo ad una ventina di anni, l’offerta di Befriedigung – di soddisfazione nel senso hegeliano di appagamento – dei desideri timotici sia stata quasi monopolizzata dalle organizzazione politiche di Destra.
La sottovalutazione dell’universo timotico, in politica, sarebbe quindi imputabile principalmente alla parte progressista e deomocratica, la quale ha probabilmente scontato più della controparte quella fiducia eccessiva – “illuminista” direbbe Lakoff – nell’evidenza della ragione, prendendo le distanze sia dalle passioni timotiche “al positivo” (onore, amor proprio, orgoglio, ecc.), sia da quelle troppo facilmente connotabili “al negativo” – come l’ira, la paura, la rabbia, il rancore, eccetera.
[1] Peter Sloterdijk (1993), Dans le même bateau. Essai sur l’hyperpolitique, ed.fr. Éditions Payot & Rivages, Paris 2003, pag. 12.
[2] Intervista a Peter Sloterdijk, “L’Espresso”, 20 settembre 2007.