Dopo quella greco-omerica, ecco l’ira di Dio, un topos centrale tanto dell’Antico quanto del Nuovo Testamento. Ma il discorso non resterà confinato al Dio cristiano, coinvolgendo anche le altre due grandi religioni monoteistiche, Ebraismo ed Islamismo. E proprio del confronto-scontro tra le tre grandi religioni del Dio unico Sloterdijk si occupa ne Il furore di Dio. Sul conflitto dei tre monoteismi.
Secondo Sloterdijk, oggi il discorso su Dio, in Occidente, sembra creare qualche imbarazzo tra gli intellettuali: un dato da alcuni ritenuto indicativo, è che tra degli 809 vincitori del Premio Nobel, dal 1901 ad oggi, soltanto una cinquantina siano credenti – per lo più, vincitori del Nobel per la Pace, tra i quali peraltro Martin Luther King (1964), il XIV Dalai Lama (1989), Desmond Tutu (1984), Madre Teresa di Calcutta (1979). Colpisce di più piuttosto che tra i Nobel 35 siano le donne, contro 754 maschi.
In ogni caso, parlare di Dio non riesce altrettanto difficile ai politici, anzi, al contrario; da tempo, il sentimento religioso appartiene alle zone intime della coscienza, al punto che Sloterdijk – ottimisticamente, a mio avviso – lo ritiene “il vero pudendum del moderno” [1]. A maggior ragione, in un’epoca in cui perfino il Dio dell’agàpe stenta a trovar legittimità nei discorsi, il Dio iroso è una figura impopolare: più che una figura teologica, consideriamola quindi con Sloterdijk una figura di pensiero. Difficile oggi credere in un Dio iroso come quello dell’Esodo, libro in cui uno Yahve potentemente antropopsichizzato unisce “i tratti di un teatrale demone atmosferico con quelli di un minaccioso warlord incapace di controllarsi” [2]. La sottolineatura di questo tratto psicologico di Yahve è ovviamente moderna; e non può emendare secoli di riflessione teologica, da Agostino in poi.
In ogni caso, un certo cambiamento nell’atteggiarsi del Dio biblico verso gli uomini – sottolinea Sloterdijk – apre all’uscita dal tempo ciclico e getta le fondamenta della Storia: “Se in un periodo precedente era ritenuto protettore del suo popolo o interventista impulsivo (si pensi alla fine dell’esercito egiziano nell’inondazione inviata da Dio, o all’estinzione dell’intero genere umano fino a Noè, durante il diluvio universale), Dio finì per distinguersi innanzitutto per i suoi ribollimenti eseguiti con legge marziale”. Come scrive Rüdiger Safranski, attraverso l’esperienza del diluvio universale, Dio si “è trasformato da fondamentalista in realista”, venendo ad ammettere che occorre tempo affinché le cose, l’uomo, migliorino[3].
Inizia la lunga fase della tesaurizzazione ebraica dell’ira. In due contenitori distinti, precisa Sloterdijk.
Nel primo vengono accumulate quantità d’ira contro i nemici esterni. Invasori, dominatori stranieri, idolatri – venendo a formare un serbatoio d’odio verso l’esterno, un desiderio di stermino nei confronti del diverso che trova espressione nei salmi di maledizione e nelle preghiere di annientamento del nemico tipiche, per esempio, del Salterio, una raccolta di 150 inni carichi di voglia di vendetta. Un esempio:
“Figlia di Babilonia devastatrice,
beato chi ti renderà quanto ci hai fatto.
Beato chi afferrerà i tuoi piccoli
E li sbatterà contro la pietra” (8a-9b).
Nel secondo contenitore viene invece ammassato il contenuto timotico reattivo auto-aggressivo. È il centro di raccolta dell’ira che Israele indirizza contro se stesso, in quanto esso stesso trasgressore del volere del Signore.
I Profeti si limitano allora a presagire le disgrazie punitive che necessariamente verranno – come nel primo Isaia e, soprattutto, in Ezechiele, uno dei quattro profeti maggiori, vissuto nel VI secolo avanti Cristo:
“Oh, per tutti i loro orribili abomini il popolo d’Israele perirà di spada, di fame e di peste! Chi è lontano morirà di peste, chi è vicino cadrà di spada, chi è assediato morirà di fame: sfogherò su di loro il mio sdegno. Saprete allora che io sono il Signore, quando i loro cadaveri giaceranno tra i loro idoli, intorno ai loro altari […]. Stenderò la mano su di loro e renderò la terra desolata e brulla […]; sapranno allora che io sono il Signore” (Ezechiele 6, 11-14).
Il fuoco dell’ira brucia la grande maggioranza di quelli che vogliono rimanere come erano sempre stati. Gli altri, gli irosi (che sono anche gli scontenti), sono infine posti di fronte ad una scelta per colmare la loro insoddisfazione radicale nei confronti dell’esistente. Secondo Sloterdijk, si tratta di una alternativa davvero epocale, perché per la prima volta l’ira divina tesaurizzata può essere spesa in politica. Si tratta dell’alternativa che sorge nel medio-oriente del II secolo avanti Cristo tra l’opzione maccabea e quella apocalittica, vale a dire tra la secolare rivolta anti-imperiale e la speranza religiosa nel crollo complessivo del sistema. Si tratta di un’opzione valida ancor oggi, dopo 2500 anni; se ne è aggiunta solo una terza, quella del superamento riformistico delle disfunzioni della storia. Opzione che, a detta di Sloterdijk, resta a ben vedere l’unica spendibile.
Sloterdijk fa notare che, in seno all’opzione per la guerra apocalittica, nasce una figura destinata ad un gran successo: il diavolo, la cui comparsa modifica la topologia stessa dell’Aldilà: “quando i diavoli mettono su casa, nascono gli inferi”. In altri termini, compaiono in questa fase, circa duecento anni prima di Cristo, dei recipienti logistici in cui custodire quantità d’ira e impulsi di vendetta, a temperatura costante – per dir così. Grazie al genio di Dante, gli europei sono in grado di fantasticare di archivio ed inferno in un’unica visione. Ogni colpevole viene bruciato vivo in eterno nei propri atti. Due dei tre mondi in cui è organizzato l’Inferno sono statici (il primo eternizza l’ira, mentre il Paradiso la beatitudine). Il secondo, l’inferno di purificazione, il cosiddetto Purgatorio – è invece un regno di mezzo dinamico, di transito, di più recente introduzione e legato, vedremo, al riacutizzarsi del senso storico.
Con la diabolizzazione del timotico, Dio viene in parte sgravato dall’ira, caricata sulle spalle del suo executive: il Diavolo diviene davvero il presidente esecutivo della banca divina dell’ira, a capo di un anti-mondo (l’Inferno) subordinato al Mondo, e comunque nel creato. Compare il male e la sua personificazione, dando l’inizio alla storia comune di religione e terrore.
[1] Ivi, pag. 89.
[2] Ivi, pag. 93.
[3] Rüdiger Safranski (1997), Das Böse oder das Drama der Freiheit, München-Wien, Hanser.