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Liberarsi dal risentimento

24 dicembre 2008

barcone_migranti_nMa il ritorno al passato, al certo, al conchiuso, non comporta affatto un rinsaldarsi della saggezza locale, del genius loci. Anzi: tra gli sradicati riterritorializzati vi è scarsità di saggezza (Bonomi), nel senso che non vi è esperienza delle novità, esperienza che toglierebbe il carattere di nuovo assoluto – neutralizzandone il potere di choc – al migrante, all’altro, ad una politica sconosciuta perché deideologizzata e secolarizzata: “l’esperienza dovrebbe essere la risorsa attraverso cui le società locali riescono a metabolizzare la modernità; la sua mancanza espone invece queste società ai traumi della novità”[1].
Il che contribuisce a spiegare perché tante emergenze. Perché c’è l’emergenza-immigrati, l’emergenza nomadi, l’emergenza traffico, l’emergenza rifiuti? E’ proprio la mancanza di esperienza a far leggere gli eventi sempre in chiave emergenziale: tutto vien visto e vissuto come qualcosa di inedito, di sorprendente, anche se il più delle volte si tratta di eventi acuiti invece proprio dall’inesperienza nel gestire pratiche amministrative e socio-politiche assolutamente normali per una modernità che non si svegli, come Aligi, dopo un sonno di cinquant’anni.

Nel corso degli anni Novanta, si è verificato al Nord Italia un progressivo disallineamento tra livello economico e livello politico. Ancor più ciò è vero a livello di vissuto: la gente del Nord ha creduto, ha sentito di non essere adeguatamente rappresentata politicamente per quanto produceva. Com’è noto, la Lombardia fruisce dell’11% degli investimenti pubblici in Italia, a fronte di un’incidenza sul PIL del 20% e di una popolazione che rappresenta il 16% dell’intera popolazione italiana. Da qui la richiesta sempre più pressante del cosiddetto federalismo fiscale.   ap130834670106155122_big

La sensazione di contare poco in rapporto al proprio peso economico si è tradotta, con un cortocircuito, nell’accusa d’incompetenza verso le leadership nazionali. Un’accusa formulata in toni spesso astiosi, figlia del risentimento. Rancore e risentimento sono stati i sentimenti-chiave per molti degli italiani del Nord negli anni Novanta: “il rancore come forma politica di massa prolifera proprio in coincidenza con la sindrome da abbandono che i fallimenti della politica possono causare”[2].

E Bonomi a questo punto si chiede: “può una società afflitta da esaurimento esprimere ancora passioni, posto che le passioni sono una risorsa vitale per la società?”[3]
La risposta va nel segno che questo corso sta cercando fin dall’inizio di sostenere: che le grandi passioni vanno a braccetto col grande Fare (per fare solo un esempio, l’ambito che Heidegger aveva individuato nel Saggio sull’opera d’arte come proprio appunto dell’arte e della politica costituzionale), mentre al riprodurre, ai meccanismi della riterritorializzazione si addicono di più passioni piccole e fredde: “quanto basta, cioè, per ricondurre la discontinuità alla loro stessa scala e, al contempo, mantenere una riserva di affettività da investire nelle tante appartenenze della vita sociale”[4].

Peter Sloterdijk

Peter Sloterdijk

La società del Nord, quindi, tra la fine degli anni Novanta ed oggi ha espresso passioni che, nello schema suggerito da Sloterdijk, potremmo intanto definire timotiche, e non erotiche, e poi – valutandone il gradiente – considerare con Bonomi “piccole e fredde”: l’ira di Borghezio non è paragonabile all’ira di Achille…
Bonomi ritiene che al centro vada posto il nesso tra passioni e interessi. E che il Nord non abbia semplicemente optato per gli interessi contro le passioni, ma abbia dislocato queste ultime dalla sfera politica a quella economica. Ma è proprio questo dislocamento che depotenzia le passioni e, soprattutto, le vira verso il bordo erotico, escludendo il timotico: le grandi passioni timotiche, appunto, sono legate alla Politica e si ridimensionano molto quando devono esprimere la vis economica, anche degli stessi soggetti.
Tuttavia, c’è chi è riuscito ad intercettare la carica emotiva delle passioni timotiche forti prima che scadessero nell’economico, depotenziandosi. Il movimento che meglio ha saputo farlo – come abbiamo visto – è stata la Lega Lombarda, poi Lega Nord.
meno_tasse_piu_soldiOggi la Lega, nonostante i suoi consistenti risultati elettorali, appare in trincea. Non esprime più la novità dei distretti produttivi del Nord, non rappresenta più la politica gregaria dello sviluppo autoregolato dalla società civile, come negli anni Novanta. Il localismo non appare più sufficiente a sostenere la sfida della globalizzazione, la necessità di dar vita ad euroregioni a cavallo delle frontiere. Inutile illudersi di rispondere localisticamente allo spiazzamento generato dall’irrompere della globalizzazione sul territorio ed al contemporaneo affievolirsi dello Stato-nazione. Occorrerebbe piuttosto elaborare quelle strategie di accettazione della sfida globale che Bonomi definisce “lobal“, coniugando localismo e globalità.
Per fare un esempio, un’azienda della Valsassina – Premana – respinge la concorrenza cinese ed è leader nella produzione di forbici e coltelli. Altri esempi potrebbero essere l’Aem e la Sondel, nate per costruire dighe ed ora “padrone” dell’oro bianco alpino, cioè delle acque. Un altro esempio ancora è Ducati, nata e cresciuta nel distretto emiliano e passata di mano un paio di volte, ma che al di là di Stoner e delle vittorie nel Mondiale Moto GP ha imposto un modello ricco di componenti immateriali (di marketing, valoriali ed emotive) oltre che tecnologiche. Tutte realtà economiche ma non in senso asfittico, capaci di utilizzare al meglio i beni competitivi territoriali (le risorse locali per i quali non si paga un prezzo aggiuntivo) e le fabbriche del capitale umano e della conoscenza, come le università e gli uffici-studi.
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Come Sloterdijk titola il suo ultimo capitolo in Ira e tempo, occorrerebbe andare al di là del risentimento. Certo, è difficile, perché l’ira non può più condensarsi in raccolte universali di tipo comunistico, e sarebbe meglio non cedere al ricatto antisecolare delle religioni monoteistiche ed alle loro pretese di universalità che piuttosto che una soluzione costituiscono esse stesse una parte rilevante del problema.
Possibile allora che l’ira si faccia strada soltanto in raccolte di tipo local-regionalistico? Sloterdijk propone piuttosto di far nostro il programma igienico nicciano di liberazione dallo spirito del risentimento. Una intelligenza che si sia nuovamente riappropriata delle proprie legittime motivazioni timotiche; che sia insomma orgogliosa di sé, forte di un amor proprio scevro da propositi di vendetta, potrebbe aspirare a delineare progetti meno asfittici, capaci di accompagnare il mondo nel cambiamento, senza dare per perse le battaglie contro la distruzione dell’ambiente e contro la demoralizzazione strisciante. Per riuscirci, dovremmo sempre guardarci con gli occhi degli altri – propone Sloterdijk[5]. L’obbiettivo resta classico: estendere la civilizzazione, così come la intendeva Thomas Mann, promuovere insomma una cultura il più possibile universale. Una cultura che sfugga all’alternativa attuale tra una proposta occidentale ipererotizzata ed una medioorientale ipertimotica, devastata dal risentimento.


[1] Aldo Bonomi, Il rancore, cit., pag. 29.
[2] Ivi, pag. 63.
[3] Aldo Bonomi, Il rancore, cit., pag. 31.
[4] Ibidem.
[5] PS, IeT, pag. 273.